Come rispondere a un attacco personale in una discussione


di Bruno Mastroianni, tratto da AgendaDigitale.eu

Gli attacchi personali pretestuosi sono sempre da ignorare: di solito nascono dallo scopo dell'altro di contrapporsi, utilizzando argomenti soggettivi o insulti, allusioni o aggressioni. Se si raccolgono, difendendosi in modo istintivo, si favorisce la manovra evasiva dell’avversario: ci si allontana dal tema oggetto di disputa e si finisce a discutere non più di contenuti ma della relazione deteriorata tra i due contendenti.

A volte però l’attacco personale può essere pertinente rispetto al tema in discussione. Sono i casi in cui il sospetto che viene sollevato sulle qualità personali di un interlocutore ha a che fare con ciò di cui si sta discutendo.

Succede quando si mostra che il comportamento del disputante non corrisponde a ciò che sostiene, quando si mette in dubbio la competenza e l’esperienza oppure quando si mette in dubbio il reale scopo per cui si affermano certe cose. Ad esempio contestare un personaggio pubblico che fa un’invettiva contro gli evasori essendo lui stesso il primo ad evadere non è un attacco ad hominem indebito, ma pertinente al tema.

Spesso questo tipo di attacchi prende di mira in modo efficace la credibilità di chi sta sostenendo qualcosa e quindi ignorarli sarebbe un errore.

Facciamo un esempio:

Una donna pubblica un post a favore dei femminili di professione. Ad un certo punto in uno dei commenti appare questo attacco personale:

"Sostieni queste cose perché sei donna, tiri acqua al tuo mulino".

 L’attacco è pertinente perché solleva un dubbio lecito. Pur se con una carica polemica e aggressiva, solleva una questione pertinente: difendere i femminili di professione è una battaglia di parte o qualcosa che riguarda tutti?


In questi casi si hanno di fronte due strade: quella del leone e quella del gattino. Il leone spingerebbe a difendersi contrattaccando usando muscoli, unghie e denti. Produrrebbe repliche di questo tipo: “tipica frase da uomo”, “studio questi temi da 20 anni, non c’entra nulla il mio essere donna”, “forse le dà fastidio che sono donna?”.

Queste repliche, per quanto brillanti e soddisfacenti, hanno un difetto: assecondano la manovra di attacco perché si allontanano dal tema di discussione per finire sul personale (ancorché per motivi di difesa). Siamo nel posizionamento uguale e contrario.

Sarebbe meglio scegliere allora la strada del gattino: invece di tirare fuori i muscoli e contrattaccare, procedere a "ridursi e rimpicciolirsi", assumendo su di sé il presunto difetto per farne la propria forza. La “mossa del gattino” si basa sull’idea che i limiti non sono punti deboli, ma segnali di credibilità in ciò che si sostiene.

Nel caso che stiamo considerando la risposta del “gattino” sarebbe:

"Proprio perché sono donna tiro acqua al mulino del far rispettare l’identità di ciascuno con i femminili di professione".

 In un sol colpo si ottengono due benefici. Dal punto di vista relazionale la disputante si riposiziona nel suo posto credibile: chiedere rispetto per la propria identità non è mai una battaglia di parte, ma un richiamo universale. Dal punto di vista del contenuto si torna al tema del valore dei femminili di professione per tutti, invece di rimanere sulla messa in discussione della credibilità della persona che la sostiene.