Giudizi sprezzanti online: la migliore risposta è una domanda

di Bruno Mastroianni



Una delle modalità distruttive che getta abitualmente scompiglio nelle discussioni online e offline è il ricorso a giudizi formulati in modo apodittico, cioè privi di ragioni o prove a supporto. Si tratta di espressioni puntute e altamente valutative (spesso svalutative) prive di elementi che dimostrino o possano dare contenuto argomentativo a ciò che si sostiene.

Ad esempio sono affermazioni come le seguenti:

Il vostro buonismo è la vostra condanna!

Queste idee sovraniste sono la rovina del paese.

La carriera di questo cantante è finita.

Trovo insopportabili i tuoi post!

Il vostro pesce crudo fa schifo!

Io ho studiato, altri mostrano di non averlo fatto.

Eccola la sciocchezza che mancava nel mare di ovvietà già sentite.


Sui social o in dibattiti mediatici, il ricorso a questo tipo di affermazioni provocatorie ottiene un effetto evasivo e distraente. Di solito impedisce alla discussione di essere realmente contraddittoria (cioè di affrontare il merito di una questione fino in fondo) per trasformarla in una mera contrapposizione.

Questo tipo di affermazioni, infatti, ha un duplice effetto: da un parte opera una riduzione rispetto alla complessità di cui si sta discutendo, dall’altra ha in sé una carica aggressiva che sposta l’attenzione dal tema in oggetto all’interlocutore a cui sono rivolte. Dal contenuto si passa a discutere della relazione tra i disputanti (che si deteriora). Il risultato è quello di passare dalla messa alla prova delle idee a alla messa alla prova delle persone. Il litigio, così, è servito. 

Prendendo gli esempi che abbiamo fatto possiamo osservare questi due effetti secondo diverse tipologie:

1. Generalizzazioni

Il vostro buonismo è la vostra condanna!

Queste idee sovraniste sono la rovina del paese.

Riduzione: l'affermazione dell’altro viene ricondotta alla tipologia buonista o sovranista, cioè le eventuali ragioni presenti vengono scartate perché attribuite a uno schema (inadeguato) già noto che porta condanna o rovina.

Attacco: l'appartenenza a un gruppo o a uno schieramento come spia di un difetto nel ragionamento.
Messa in dubbio delle capacità

2. Messa in dubbio delle capacità altrui

La carriera di questo cantante è finita.

Riduzione: la frase presume che si possa dare un giudizio immediato e sintetico su una questione ampia come la carriera artistica di un cantante.

Attacco: l’affermazione postata negli account online del cantante in questione ne mette in dubbio le capacità oltre a intaccare i fan che si sentiranno colpiti dalla valutazione negativa.

3. Minaccia alla reputazione

Trovo insopportabili i tuoi post!

Il vostro pesce crudo fa schifo!


Riduzione: il criterio dell’insopportabilità (non chiarito se sia di natura emotiva, morale, cognitiva o altro) e del disgusto percepito soggettivamente sono elevati a criteri di valutazione oggettivi.

Attacco: il gusto/sentimento/impressione negativi di un utente espressi in pubblico e scritti creano immediatamente una sorta di voragine di reputazione. Si pensi al secondo commento se postato negli account di un ristorante di sushi.

4. Indignazione

Io ho studiato, altri mostrano di non averlo fatto!

Eccola la sciocchezza che mancava nel mare di ovvietà già sentite!

Riduzione: un ragionamento viene ridotto a “mancanza di studio” oppure a “sciocchezza” con grande facilità, come il “mare di ovvietà” con cui si definisce un indefinito numero di affermazioni simili non meglio specificate.

Attacco: sia il “non studiare” che il “dire sciocchezze nell’ovvietà” qui hanno anche l’elemento moralistico, non vengono presentate solo come mancanze personali (come nei casi C), ma alludono al tradimento di un presunto modo di ragionare e di agire corretto.

Il sinistro-destro dialettico da schivare

Questo doppio colpo riduttivo-aggressivo assomiglia a un “sinistro-destro” di boxe che spinge spesso chi ne è vittima a replicare in modo inefficace. Nella boxe la combinazione di due colpi ravvicinati serve di solito a fare in modo che nel parare il primo l’avversario si scopra ricevendo tutta la potenza del secondo. Anche in questa mossa dialettica l’attacco personale serve per portare a segno la ben più perniciosa riduzione che fa fallire il confronto.

La reazione, infatti, è innescata di solito dalla questione prioritaria che si avverte intaccata: la propria identità. In una discussione chiunque, anche il più distaccato, porta sempre nelle sue argomentazioni ciò che lo rappresenta e che rappresenta il suo mondo. Ciò induce, quando attaccati in pubblico, a sentire un disconoscimento o un rifiuto della propria identità con una fortissima pressione psicologica a replicare ripristinando il proprio buon nome. È questa tensione che spinge, solitamente, a compiere una manovra difensiva di replica controproducente.

Quando la reazione si concentra sul rispondere all’attacco personale, infatti, ci si scopre sul lato ancora più delicato, quello razionale, finendo intrappolati nel vicolo cieco creato dalla riduzione. Concentrati a parare l’attacco ad hominem, ci si dimentica di guardare al “bersaglio grosso” dell’abbassamento del livello razionale delle argomentazioni. In questo modo avviene una specie di accettazione tacita dello schema riduttivo dell’oppositore che prende il sopravvento e sostituisce il centro della questione che si stava affrontando. 

La discussione diventa uno scontro

Vediamolo attraverso uno degli esempi precedenti:

Eccola la sciocchezza che mancava nel mare di ovvietà già sentite!

Se il destinatario di questa provocazione si concentrasse sull’attacco personale risponderebbe qualcosa del tipo: “Sciocchezza sarà per lei!”, “Come si permette a darmi dello sciocco?”, “Non mi pare affatto né sciocca né ovvia!”, e così via.

Cosa otterrebbe? Anzitutto di aver accettato la cornice semantica dell’aggressore: si sta parlando ormai di “sciocchezza”, di “sciocco” e non più del tema iniziale che aveva fatto scaturire il giudizio. Quindi il contenuto dell’argomentatore è stato rimpiazzato da quello del provocatore. Ma soprattutto si è passati dal discutere delle idee alla messa in discussione delle persone: si è ormai nella contrapposizione tra due interlocutori.

Una mossa di difesa che è doppiamente inefficace: perde il tema e perde anche la qualità della discussione. Un vicolo cieco di un dibattito in cui non ci sono più ragioni o prove, ma affermazioni di posizione da parte di ciascun contendente. Il “destro” dell’attacco personale ha permesso al “sinistro” di andare a segno: la questione complessa su cui forse valeva la pena discutere è stata rimpiazzata da una forma di alterco verbale altamente spettacolare, ma poverissimo dal punto di vista del confronto.

Come rispondere? Con una domanda

Capire il meccanismo di questa arma dialettica, ampiamente utilizzata nelle interazioni online e offline, è fondamentale per disinnescarne la forza e non finire nel gioco deteriore di chi ne fa uso. 

Quando ci si trova di fronte a un giudizio apodittico polemico, invece di lanciarsi subito in una replica difensiva (che darebbe rilevanza all’attacco e alla riduzione prodotta) sarebbe molto più efficace riportare nel campo del contendente l’onere della prova. Chiedere ragioni, prove, dati, fatti a supporto del giudizio espresso è la migliore mossa non solo per schivare il destro-sinistro ma, come vedremo fra poco, per servirsi della forza dell’affondo per tornare a discutere sul tema. In un sol colpo si ottiene di non dare peso all’attacco personale, che cade ignorato, e di rimettere il confronto sul livello della razionalità e delle idee.

Riprendiamo da un esempio precedente, il più concreto, per mostrare che anche in casi molto specifici si possono osservare risultati interessanti:

Il vostro pesce crudo fa schifo!

Il ristorante, invece di difendersi dall’attacco infondato, potrebbe rispondere: “Ci può spiegare cosa ha trovato che non andava nel nostro sushi?”. Una replica di questo tipo otterrebbe diversi effetti:
- Mostrerebbe che il ristorante è votato al tema, cioè disposto a discutere della qualità del pesce, visto che è il cuore delle sue attività.
- Non cederebbe alla contrapposizione utente vs ristorante, ma manterrebbe il confronto sul piano della qualità del pesce.
- Lascerebbe l’onere della prova nel campo dell’oppositore: per tutti quelli che assistono sarà evidente che non è stato ancora dimostrato che il pesce sia di scarsa qualità.

Non significa essere remissivi ed evitare il conflitto con l’altro, ma l’esatto contrario: mantenere lo scambio nel conflitto e nella contraddizione per andare fino in fondo. Dal punto di vista del ristorante, la richiesta di fornire le “ragioni dello schifo” costituisce una replica critica e altamente contraddittoria che costringe chi ha sollevato l’obiezione a farsene carico, pena il risultare infondato agli occhi del pubblico che assiste. Una mossa tutt’altro che accondiscendente o pacifista.

La risposta efficace al giudizio apodittico, insomma, non è una vera e propria difesa, ma assomiglia di più a un contrattacco che, con la sua richiesta di ragioni o prove, ribalta la prospettiva dialettica e ha l’effetto di smascherare gli attacchi indebiti senza dare loro eccessivo spazio nello scambio, anzi sottraendogli terreno.

Se vuoi approfondire leggi l'articolo completo QUI