Non chiamateli solo meme. L'autoironia salverà il mondo



di Bruno Mastroianni, Toscana Oggi, 22 marzo 2020.

C’è il Papa che si affaccia su Piazza San Pietro gremita, stranutisce, e nell’immagine successiva la piazza è improvvisamente vuota. C’è una vignetta in cui uno stilizzato coronavirus incontra una figurina che si presenta: “sono ignoranza”, i due si baciano appassionatamente. C’è Gollum, il personaggio del Signore degli anelli, che contempla rapito il “suo tesoro”: un flaconcino di Amuchina. C’è Nanni Moretti in Caro Diario con la scritta “una splendida quarantena”. E così via per tutti i gusti e le età, con riferimenti culturali più o meno elevati: è l’ondata di meme e contenuti divertenti che girano ormai da giorni in rete a proposito della pandemia di Covid-19.

Non dite che sono per “esorcizzare” la crisi o per “alleggerire” la tensione della situazione difficile. Questa ondata ironica ha una funzione molto più importante. Anche se in certi casi al massimo si tratta di trovate che strappano un sorriso, diversi di quei contenuti superano il livello del comico per raggiungere, come diceva Pirandello, l’umoristico: il sentimento del contrario che rende capaci di riconoscere le fragilità proprie e altrui.

Ci sono quelli più colti e artistici che rappresentano lo sgomento per i luoghi deserti: come la raffigurazione della Scuola di Atene senza filosofi o dell’Ultima cena di Leonardo disertata dai commensali. Quelli che esprimono il disagio quasi mistico di dover giustificare le uscite di casa: Gesù appena risorto che, uscendo dal sepolcro, esclama “ho l’autocertificazione”. Ma si arriva anche all’inventiva dei più giovani con tormentoni su TikTok in cui una ragazza si trucca e si veste di tutto punto e, di fronte alla domanda: “ma dove vai?”, risponde sicura: “vado a farmi un giro in cucina!”.

Sono scene divertenti e paradossali che hanno dentro, però, anche qualcosa di profondissimo, che tutti stiamo provando: la nostalgia per condizioni di vita che prima davamo per scontate e che ora, mancandoci, assumono significati del tutto nuovi. Attraverso la chiave umoristica, queste nuove verità si riescono a cogliere coinvolgendoci intensamente: ci si riconosce nella ragazza che va a fare un giro in cucina, nel vuoto espresso dai classici modificati e nel risorto che deve giustificare l’uscita dal sepolcro. E questo identificarsi è un atto di autoironia: incontriamo noi stessi nella nostra parte più fragile, ridendoci su.

Sì, perché il vero humor raggiunge la sua funzione soprattutto quando diventa saper ridere di sé, riconoscendo i propri limiti e le proprie debolezze. Un atto che porta a sentirsi vicini agli altri in modo nuovo.

Questa capacità autoironica è una potente cura alle strategie che di solito attuiamo per renderci impermeabili e isolarci nei nostri piccoli mondi egoistici e sicuri. La prima è la strategia del sarcasmo che, attraverso il “ridere di qualcuno”, ci fa sentire diversi da lui (di solito migliori) e quindi più distanti. Così possiamo dividerci in squadre polarizzate, ognuna dedita a confermare le sue idee, senza faticosi confronti. La seconda è la seriosità: il solenne ribadire con gravità principi, regole e schemi a cui siamo abituati che, intoccabili, sono come una fortezza dentro cui barrichiamo il nostro potere sugli altri, piccolo o grande che sia in base alla nostra posizione.

Queste barriere nulla possono di fronte al sano humor che, con il suo effetto sorpresa, sfida il potere in tutte le sue forme, soprattutto quelle costituite da ciò che è abituale e assodato, per immettere d’improvviso nuovi sguardi autentici sulla realtà, risvegliando lo spirito. È lì, in quel momento di trascinante consapevolezza in cui si ride assieme, che riconosciamo quanto nonostante le numerose differenze (e diffidenze) siamo infinitamente simili nelle debolezze.

Molti animali mostrano i denti per dire agli altri di stare alla larga. L’essere umano quando lo fa può scegliere se per trasmettere rabbia e derisione, oppure per dare un segnale di riconoscimento delle fragilità che ci accomunano. E da che mondo è mondo, lo scoprirsi reciprocamente deboli è la spinta migliore ad affrontare le avversità insieme. Come diceva Leopardi: “chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo”. Non chiamateli solo meme.