Breve ma intenso. Farsi capire in poche parole


Essere sintetici e espressivi, saper organizzare un discorso, scegliere bene le parole non è un mero esercizio di stile, ma un atto di servizio: serve a stabilire relazioni di qualità con l’altro (gli altri).

Ciò che diciamo, ciò che scriviamo, ciò che esprimiamo con immagini, suoni o con qualsiasi altro elemento espressivo ha valore nella misura in cui alimenta o compromette il legame tra due o più interlocutori. Il “che cosa” del dire non è mai un dato indipendente e slegato, ma sempre unito inscindibilmente al “come” e all’effetto che ha sulle persone.

Forma e contenuto si presentano infatti sempre assieme: uno dà consistenza all’altro. La loro separazione è sostanzialmente un’astrazione non presente nella realtà. La forza, il senso, l’interesse che suscita ciò che abbiamo da dire di solito guida anche l’atteggiamento e il modo con cui lo riusciamo a dire.

Non esiste un unico metodo per fare discorsi intensi e significativi; però si possono individuare alcuni principi fondamentali da mettere in pratica. Sono idee che in parte vengono dalla tradizione retorica e dalla comunicazione efficace, ma che soprattutto rispondono a una serie di necessità che oggi abbiamo, in quanto individui iperconnessi e iperstimolati da fin troppi contenuti.

Li sintetizzerei in 4 punti che sono fondamentali per l’elaborazione di un testo, un discorso, un post, un qualsiasi contenuto che intercetti davvero l'interesse di chi ci ascolta (o ci legge):

1. scegliere poche idee (ma buone);
2. disporle in modo da ottenere attenzione;
3. esprimerle in modo vivo;
4. rimuovere il superfluo.


1. Poche idee (ma buone)

La pagina bianca, il silenzio dopo la domanda appena posta, la spinta a ribattere il commento appena fatto su Facebook... è la fase primaria di ogni comunicazione: la scelta del cosa dire.

Il consiglio fondamentale è: scegliere bene, scegliere poche cose. Un’idea buona basta per fare un intero discorso, due lo arricchiscono molto, tre sono il massimo. A sceglierne di più si rischia di perdere mordente, di aggiungere troppi elementi, di disperdersi in troppe sfaccettature. Occorre concentrare in poche idee fondamentali l’impianto di fondo su cui elaborare tutto il resto.

Scegliere è cruciale: è uno sforzo di umiltà. Nessuno può pretendere in una conversazione – che sia sui social, in un’intervista o in un luogo pubblico – di poter esaurire argomenti o complicare troppo le cose. Il tempo è esso stesso un messaggio: la brevità, l’essere sintetici e concentrati su ciò che si vuole dire, è un gesto di avvicinamento e di rispetto verso l’altro, che favorisce la comprensione.

Umiltà è anche scegliere di intervenire solo sui temi che conosciamo, che padroneggiamo, su cui abbiamo davvero qualcosa da dire, che sia veramente nostro. Al contrario le idee distanti, non sperimentate personalmente o sulle quali non abbiamo passato un adeguato tempo di riflessione, ci rendono impersonali, teorici, qualunquisti, o peggio: spocchiosi e aggressivi.

Umiltà è infine non scegliere le idee da soli: è ben lasciarsi fin da subito “fare compagnia”  dall’altro (o gli altri) a cui ci rivolgiamo. Le idee devono essere efficaci non per chi parla, ma per chi ascolta. Se coloro a cui parliamo sono convinti di una cosa, da quella non si può che partire, pena non intercettarli lì dove sono. Insomma la strada sicura è prendere su di sé i bisogni e le aspettative degli interlocutori per muoversi da quelle e tentare di fare passi in una qualche direzione insieme.


2. Guadagnarsi l’attenzione (la piramide rovesciata)

La scelta delle idee non basta: occorre scegliere cosa mettere prima e cosa dopo. Lo schema scolastico “introduzione, sviluppo, conclusione” va invertito. Oggi la capacità di attenzione è davvero scarsissima, ottenerla è il presupposto ineliminabile per avere la possibilità poi di ampliare, approfondire, spiegare.

Bisogna invertire la piramide. Non dal vertice sottile dell’introduzione per arrivare alla fine sostanziosa delle conclusioni, ma partire con il pezzo forte, cioè le conclusioni, per poi dedicarsi solo dopo ad argomentare, aggiungere, spiegare, rafforzare le affermazioni.

Esempio. Immaginiamo il processo classico (introduzione, sviluppo, conclusione):

“Oggi la società, grazie alle forme di partecipazione democratica e allo sviluppo delle tecnologie di comunicazione, ha aumentato la sua complessità: le informazioni, i dati, e in generale le conoscenze sono beni preziosi. In questo scenario alcuni, mossi da interessi economici e politici, immettono informazioni e notizie distorte nel dibattito pubblico al fine di ottenere precise reazioni. Dall’altro lato l’uomo da sempre tende ad avere distorsioni cognitive che lo portano a vedere la realtà in base alle sue inclinazioni, interessi, convinzioni. In un mondo così complesso e interconnesso, chi non è in grado di riconoscere quali informazioni siano rilevanti e attendibili e quali no, rischia di essere vittima o dei suoi stessi pre-giudizi o eterodiretto dalle manipolazioni informative di altri. Essere ben informati è essere liberi nella società complessa”.

Per arrivare in fondo a questo testo, seppur breve, c’è bisogno di motivazione: la posizione della conclusione alla fine lascia al lettore tutto il lavoro di comprensione per procedere nel ragionamento.

Proviamo ora a “invertire la piramide”, mettendo all’inizio ciò che si vuole dire di importante:

“Essere ben informati è essere liberi nella società complessa. In un mondo complesso e interconnesso, chi non è in grado di riconoscere quali informazioni siano rilevanti e attendibili e quali no rischia di essere vittima o dei suoi stessi pre-giudizi o eterodiretto dalle manipolazioni informative di altri...”.

Un attacco del genere produce subito diversi benefici:

a. dà subito l’idea di ciò che si vuole dire;
b. crea interesse e attesa per il ragionamento che ha portato a tale conclusione;
c. dà un segnale chiaro su quale sarà la direzione e il senso del testo.

Da qui in poi, ottenuta l’attenzione e indicata la strada che si vuole intraprendere, sarà più facile per il lettore muoversi tra le successive argomentazioni e aggiunte di dettagli.


3. Scegliere parole vive

Posta la chiarezza sulle idee, scelto l’ordine delle argomentazioni, si passa a dover scegliere bene le parole, le espressioni, i modi con cui dire ciò che vogliamo esprimere.

Il grande nemico da evitare, quale che sia la situazione in cui ci esprimiamo, è il “concettualese”: quel modo di esprimerci teorico, distante, formalmente forbito ma sostanzialmente vuoto, che ci viene quando cerchiamo di dire cose intelligenti. Lo sforzo per farsi capire richiede il processo opposto: concretizzare, personalizzare, circoscrivere, semplificare. Farsi capire è parlare alle persone in carne e ossa da persone in carne e ossa.

Cristiano Carriero fa un esempio davvero efficace:

Azienda giovane, leader nel settore di competenza, supporta il cliente in tutte le fasi del progetto di comunicazione, a trecentosessantagradi. Con grande cura dei dettagli sfrutta le sinergie comunicazionali e garantisce l’ottimizzazione dell’investimento iniziale.

Cosa ha questo testo che non va? È generico e utilizza espressioni concettuali e sbiadite come “leader nel settore di competenza”, “fasi del progetto di comunicazione”, “trecentosessantagradi”, “sinergie comunicazionali”, “ottimizzazione”. Il testo non ha alcuna presa e, di fatto, pochissimo significato.

→ Proviamo ora a riformularlo:

Siamo quattro trentenni, dopo un’esperienza di lavoro all’estero abbiamo deciso di aprire un’agenzia di consulenza che definiamo una “sartoria della comunicazione”. Siamo convinti che comunicare sia un lavoro artigianale: per i nostri clienti facciamo solo “abiti su misura”, seguendo i progetti passo passo, confezionandoli a mano.

Gli elementi fattuali (“quattro trentenni che hanno avuto esperienza all’estero”), le immagini (la sartoria, gli abiti su misura, il confezionare a mano), le espressioni vivaci (la comunicazione come lavoro artigianale), hanno reso il testo più comprensibile e interessante. Un testo che fa visualizzare la realtà di cui si sta parlando.


Per essere semplici e vivaci vanno appoggiati i propri messaggi su un ideale sgabello a tre gambe fatto di:
→ storie - immagini;
→ dati - numeri;
→ frasi incisive - giochi di parole.

Un esempio per ciascuno:

Storia/immagine:
Due giovani pesci nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?”. I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”. (David Foster Wallace).

Dati:
Le ricerche di Pagnoncelli ci dicono che, secondo gli italiani, il 20% della popolazione nel nostro paese sarebbe di religione musulmana. Cioè 5-10 volte più della realtà. È la realtà percepita che conta. (Ilvo Diamanti)

Frasi incisive:
Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, ma cosa potete fare voi per il vostro paese. (John F. Kennedy)

Esperimento: provare a esprimere gli stessi concetti di ciascuno di questi esempi senza usare numeri, immagini o frasi incisive. È impossibile. Servirebbero molte parole e spiegazioni, si otterrebbero testi molto meno efficaci e più impegnativi degli originali.

Al di là del consiglio dello sgabello, ognuno ha il suo modo di comunicare ed è bene che segua le sue inclinazioni. C’è chi è portato a una modalità più emotiva e predilige le storie, chi è più razionale e ama dati e numeri, chi è più creativo e incline a ideare giochi di parole e espressioni sagaci. L’unica cosa che vale per tutti è: l’intensità vince sulla completezza, la vivacità sulla sistematicità.


4. Rivedere e ripulire

La brevità e l’intensità sono una conquista, non un colpo di genio. Un discorso sintetico e brillante è frutto di paziente e faticoso lavoro di rifinitura. Bisogna perdere l’illusione del fuoco d’artificio, del guizzo geniale che zampilla dalla nostra creatività bell’e pronto per essere comunicato. Dire cose incisive e piene di senso è frutto di fatica, revisione, rilettura e rielaborazione.

Per quanto riguarda i discorsi scritti, sono molto utili i consigli che Luisa Carrada offre per revisioni capaci di eliminare ciò che è ridondante, i pronomi riflessivi inutili, le espressioni che diluiscono il senso, gli avverbi di troppo e simili.

Anche nelle situazioni in cui questa revisione non può essere fatta con calma, non va mai omessa. Persino quando siamo in un discorso in diretta (in un dibattito, in una conferenza, in un intervento sui media) o anche più semplicemente quando stiamo scrivendo un post, un tweet, una risposta a un commento sui social, c’è sempre, per quando breve, lo spazio per una revisione. E va usato.

Quello che occorre è avere sempre l’accortezza di sottoporre a una piccola “purificazione” i nostri testi e discorsi. Fosse anche solo riflettere un istante in più rispetto al primissimo pensiero che ci è passato in testa. Purificazione da cosa? Da ciò che non viene pienamente da noi.

Siamo efficaci quando diciamo ciò che è veramente nostro. Diventiamo meno interessanti quando mostriamo di essere spinti da altro.

Possiamo non essere del tutto titolari di ciò che diciamo da due punti di vista:
- emotivo: reazioni di fastidio, atteggiamenti di difesa, risentimento, ecc.;
- razionale: diciamo qualcosa “che è bene dire” ma non viene da noi, riferimenti a idee di altri non sufficientemente interiorizzate, argomenti di principio, formalismi, ecc.

Se stiamo partecipando a una discussione sui social può aiutare rileggere una seconda volta, dopo qualche secondo e con distacco, un commento o una risposta che abbiamo buttato giù di impeto. Ciò provoca una spontanea ripulitura degli elementi più reattivi e emotivi che ci spingevano a dire certe cose.

Nella ripulitura possiamo anche notare se nei nostri argomenti ci sono riferimenti e ragionamenti davvero nostri o se stiamo usando qualche paravento argomentativo di troppo. Ad esempio questioni di principio, citazioni colte che non servono, auto-attestazioni di autorevolezza ridondanti. In questo "mettere alla prova" avremo la prospettiva di ciò che ci sta veramente a cuore e che vogliamo e sappiamo davvero dire. Quello sarà il nostro valore da portare all'attenzione dell'altro.

Prendersi questa piccola manciata di secondi non comprometterà il tempismo delle nostre risposte. Lo stesso si può fare nei discorsi dal vivo, quel secondo in più per riflettere non ha mai ucciso nessuno, anzi, una piccola pausa di riconsiderazione prima di tirare fuori ciò che ci è saltato in mente può essere anche visivamente più accattivante e coinvolgente.


L’intelligenza relazionale

Sarebbe un errore intendere questi consigli come mere tecniche. Non funzionerebbero. Farsi capire è un risultato più relazionale che intellettuale: parlare usando espressioni vive, significative, comprensibili scaturisce dalla preoccupazione e dall’interesse sincero per le persone coinvolte. È un atto di umiltà e di servizio, non una manipolazione. Su questo terreno o si ha davvero qualcosa da dire (che è qualcosa da dare) o le tecniche funzioneranno solo fino a un certo punto.

A ben vedere, infatti, i 4 principi non sono altro che risposte ad alcuni disagi che oggi tutti abbiamo, visto che siamo immersi in un mondo iperconnesso:

- usare poche idee (e buone) è farsi guidare dal valore della selezione in un mondo in sovraccarico informativo dove già c’è tutto e già c’è troppo; chi sceglie fa un servizio;

- disporle in modo efficace è seguire il valore della rilevanza, cercando di dare un ordine e stabilire priorità di fronte a una complessità che spesso ci provoca sensazione di smarrimento e di dispersione; 

- esprimersi in modo vivace significa cercare di dare riconoscibilità a ciò che si dice per rispondere all’indifferenza e la tendenza all’appiattimento abitudinario che abbiamo tutti quando comunichiamo;

- rivedere e ripulire costantemente i propri testi e discorsi è puntare sull’essenziale per far fronte a ciò che è ridondante, ripetitivo, prevedibile, e che spesso affatica le nostre vite.

Essere brevi ma intensi è in fin dei conti una questione di etica della comunicazione. Di fatto un contributo al bene comune.

(Questo testo è una sintesi e una rielaborazione tratta dal capitolo “Farsi Capire” presente in Bruno Mastroianni, La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico, Cesati, 2017.)