Dibattiti online: un colpo d'ala - conversare portando valore

di Bruno Mastroianni


 Ogni giorno in rete e sui media si susseguono dibattiti e discussioni che riguardano temi cruciali per la vita umana. Al di là della "fretta dell'attualità", in cui tutti siamo immersi, vale la pena fermarsi ogni tanto a riflettere su come ci poniamo di fronte a tali questioni nell’opinione pubblica. 

E’ qualcosa che non riguarda solo i comunicatori ma ogni persona, in un'epoca in cui ciascuno di fatto contribuisce alla conversazione pubblica attraverso i suoi spazi online. Ognuno può fare la sua parte per animare un dibattito vero e utile che superi la grande malattia della conversazione globale digitale: i gruppi chiusi di opinioni omogenee che si affrontano in continue contrapposizioni, lasciando le persone impermeabili al confronto. Un dibattito non è un semplice scambio di messaggi e contenuti ma anzitutto un modo di entrare in relazione con gli altri. Come ci porremo nella relazione con l'altro al momento di discutere di questi temi? 

Gli scontri che non modificano le percezioni

Quando si dibatte su questioni antropologiche fondamentali è facile che i toni si alzino e che appaiano scontri che non modificano le percezioni. E’ qui che ciascuno può fare molto per favorire uno scenario differente. Ma cosa fare in concreto? Personalmente ritengo una buona strada quella classica (i classici funzionano sempre ) cioè quella di tenere assieme verità, bontà e bellezza. 

Proviamo - a mo' di esperimento - a percorrerla su un tema, quello dell'eutanasia che, probabilmente, sarà uno dei prossimi dibattiti vista la discussione di alcuni disegni di legge sul fine vita nelle commissioni parlamentari. Come affrontarlo?

È importante partire dalla verità. Bisogna conoscere bene i termini della questione (che sono la base di partenza) ma bisogna anche saperli proporre all’attenzione dell’altro: la via è quella della bontà e della bellezza. Non ci si può confinare nell’angoletto di chi vieta qualcosa o vuole limitare la libertà di qualcuno, ma avere l’atteggiamento di chi sta proponendo un bene che rende più liberi e umani: accettare la morte per quello che è, quando è il momento, illumina di senso del fine vita. 

E poi saper mettere in crisi certi schemi facendo notare che ad essere divieto e rifiuto è l’eutanasia: dare morte è una rinuncia ad occuparsi della persona sofferente, un arrendersi di fronte alla solitudine del dolore. E’ per questo che bisogna evitare l’accanimento terapeutico - che è un’invasione sproporzionata della tecnica nella vita dell’uomo - e invece incoraggiare la terapia del dolore che tiene insieme tutte le dimensioni della sofferenza, non solo quella fisica ma anche quella psicologica e spirituale. 

La vita, non l'idea

E poi incentrare il discorso sulla bellezza: la morte è negativa e non desiderabile, ma morire bene - accettando la fine dell’esistenza - è un atto di vita. Un atto che può essere bello e significativo perché investe le relazioni con gli altri, e non un momento individuale, insignificante, solitario. E' un evento troppo importante per lasciarlo alla burocrazia o a criteri legislativi. Non esser mai lasciati soli in quei frangenti, questo è il diritto universale che dovemmo chiedere alle leggi di garantire. 

Sempre per il criterio della verità è utile conoscere i dati significativi, ad esempio quelli che provengono dal Belgio e dall’Olanda, in cui la pratica dell’eutanasia è andata aumentando nel tempo e più di uno studio ha sollevato preoccupazioni per la tendenza ad assecondare facilmente le richieste di morte. Nel Regno Unito recentemente è stato sollevato il caso delle "spine staccate" senza il consenso dei malati o dei familiari. I medici poi sono contrari, come ha voluto ribadire la World Medical Association e altre associazioni mediche internazionali, riaffermando la loro posizione nettamente contraria a queste pratiche. 

Sul piano della bontà occorre riportare il dibattito dall'astrattezza dei concetti - su cui lo scontro può essere infinito - alla concretezza della realtà, che è vita. Far parlare le storie come quella di Martin Pistorius e Angéle Lieby, entrambi in stato vegetativo, si sono risvegliati raccontando come in quei momenti di sofferenza li teneva in vita l’affetto e la vicinanza dei loro familiari. Dare voce a chi ogni giorno si occupa di malati terminali e conosce in modo diretto le loro vicende, le loro paure, le loro consolazioni. Sono esperienze vive, belle, reali, che dicono molto di più sulla morte e sulla sofferenza di quanto possano fare i dibattiti teorici. 

Un impegno di comunicazione

E’ importante insomma che ciascuno, al momento di trattare temi cruciali per la vita umana, si senta chiamato a un impegno di comunicazione, a partire dai propri spazi social. Vale per l'eutanasia come per qualsiasi altro tema: occorre fare nel proprio piccolo un’opera di cultura fondata sulla realtà e sulla ragione, dando voce ai dati, agli esperti e a chi ha esperienza diretta, senza scadere in dialettiche sterilmente contrapposte che non incoraggiano nessuno a una visione più attenta alla dignità della persona. 

Come ho già scritto: il campo non è di battaglia ma un terreno da arare. Tutte le persone di buona volontà presenti nel mondo digitale possono seminare, coinvolgere, ispirare: è questo che farà fermare a riflettere anche solo per un attimo chi, magari distratto, si sta solo lasciando spingere dalla corrente. Basta un colpo d’ala (tuo e mio) affinché la conversazione pubblica online - invece di abbassarsi a reazioni istintive - possa prendere quota, per regalarci una visione della realtà più ricca e piena. Che poi è questo lo scopo (nobile) di ogni discussione.