"Mi fai dubitare della tua intelligenza" non è una frase che esprime dubbio, ma un modo implicito di dare dello stupido. Quel significato, "stupido", matura dentro le inferenze dell'ascoltatore, come se lo dicesse a sé stesso in base al buco lasciato nel non detto.
Il silenzio: un tessuto connettivo
Consideriamo questo scambio: nessuno dei due ha scritto esplicitamente ciò che intendeva davvero dire. Luca non voleva informare Clara su un evento pubblico che avveniva di sabato, ma con quell’informazione intendeva dire: “andiamo assieme?”. Clara, in risposta, non voleva tanto mettere al corrente Luca delle sue preferenze nel tempo libero, quanto fargli capire che non era interessata a uscire con lui.
Dalla valorizzazione di questo "patrimonio del non detto" dipende una buona fetta del destino delle relazioni di convivenza della società in rete, plurale e iperconnessa in cui siamo immersi.
Siamo abituati a pensare al silenzio come a un’assenza di parole, come se fosse un vuoto della comunicazione. Soprattutto nelle discussioni in cui ci viene spontaneo inondare l’aria con le nostre repliche, come se fosse il loro suono o la loro presenza nello spazio a farci ascoltare. Invece è esattamente il contrario: il non detto non è affatto un vuoto, ma una specie di tessuto connettivo che attiva reazioni più delle parole.
Il nostro linguaggio si basa in buona misura su ciò che non diciamo rispetto alle parole che esplicitamente pronunciamo.
Facciamo un esempio:
Il nostro linguaggio si basa in buona misura su ciò che non diciamo rispetto alle parole che esplicitamente pronunciamo.
Facciamo un esempio:
Luca scrive su Instagram a Clara:
"Sabato c'è un concerto al Monk"
Clara dopo poco risponde:
"Non amo i concerti"
Consideriamo questo scambio: nessuno dei due ha scritto esplicitamente ciò che intendeva davvero dire. Luca non voleva informare Clara su un evento pubblico che avveniva di sabato, ma con quell’informazione intendeva dire: “andiamo assieme?”. Clara, in risposta, non voleva tanto mettere al corrente Luca delle sue preferenze nel tempo libero, quanto fargli capire che non era interessata a uscire con lui.
Non dico, dico meno, ti coinvolgo
In questo scambio intervengono diversi elementi, ad esempio la cortesia che ci spinge a essere indiretti e più morbidi con l’altro. Ma intervengono anche meccanismi come la parsimonia: dire di più con meno parole. L'effetto preminente, però, è il coinvolgimento: quel che non diciamo spinge l’altro a “riempire i buchi”, a dedurre da sé cosa intendiamo, in questo modo non siamo più noi da soli a dirlo, ma soprattuto l'altro a interpretarlo.
È un’operazione che si può fare in modo virtuoso e costruttivo, per facilitare la collaborazione, oppure in modo distruttivo, per attaccare. Pensiamo ad esempio quanto è più cortese far notare a una persona un errore in modo indiretto e implicito con un “siamo sicuri si scriva così?”, rispetto a dire: “hai sbagliato a scrivere quella parola!”. Stiamo esprimendo la stessa cosa, ma in modo diverso: con la domanda (simulata) lasciamo all’interlocutore il compito di dedurre che forse quella parola non si scrive così. È permettere che faccia in gran parte lui il lavoro, senza invaderlo con una correzione dall’alto.
In questo scambio intervengono diversi elementi, ad esempio la cortesia che ci spinge a essere indiretti e più morbidi con l’altro. Ma intervengono anche meccanismi come la parsimonia: dire di più con meno parole. L'effetto preminente, però, è il coinvolgimento: quel che non diciamo spinge l’altro a “riempire i buchi”, a dedurre da sé cosa intendiamo, in questo modo non siamo più noi da soli a dirlo, ma soprattuto l'altro a interpretarlo.
È un’operazione che si può fare in modo virtuoso e costruttivo, per facilitare la collaborazione, oppure in modo distruttivo, per attaccare. Pensiamo ad esempio quanto è più cortese far notare a una persona un errore in modo indiretto e implicito con un “siamo sicuri si scriva così?”, rispetto a dire: “hai sbagliato a scrivere quella parola!”. Stiamo esprimendo la stessa cosa, ma in modo diverso: con la domanda (simulata) lasciamo all’interlocutore il compito di dedurre che forse quella parola non si scrive così. È permettere che faccia in gran parte lui il lavoro, senza invaderlo con una correzione dall’alto.
Gli impliciti distruttivi
Lasciare all’altro il compito di dedurre e riempire i buchi si può usare anche in modo distruttivo. Sono gli impliciti corrosivi che abbiamo visto all'inizio, ad esempio accuse come “sei sempre il solito”: lasciano all’immaginazione dell’interlocutore, e degli eventuali ascoltatori che assistono, cosa stiamo presumendo come caratteristica negativa dell’altro che diamo per stabile e assodata.
La stessa forza "silenziosa" funziona negli attacchi personali. Quando diciamo a qualcuno “dici così perché sei un'ottimista” o “perché sei giovane” è come se dessimo per scontato, senza dirlo, che la sua caratteristica personale compromette la bontà dei suoi ragionamenti.
Lasciare all’altro il compito di dedurre e riempire i buchi si può usare anche in modo distruttivo. Sono gli impliciti corrosivi che abbiamo visto all'inizio, ad esempio accuse come “sei sempre il solito”: lasciano all’immaginazione dell’interlocutore, e degli eventuali ascoltatori che assistono, cosa stiamo presumendo come caratteristica negativa dell’altro che diamo per stabile e assodata.
La stessa forza "silenziosa" funziona negli attacchi personali. Quando diciamo a qualcuno “dici così perché sei un'ottimista” o “perché sei giovane” è come se dessimo per scontato, senza dirlo, che la sua caratteristica personale compromette la bontà dei suoi ragionamenti.
Il potere distruttivo di un "invece"
Qualche tempo fa ho partecipato a una videocall con più professionisti in cui, alla fine dell'intervento di una giovane collaboratrice, un'altra collega più anziana ha iniziato il suo intervento dicendo: "io, invece, che lavoro in questo campo da più di 20 anni penso che...". Quell'"invece" e il riferimento ai "20 anni" hanno in un sol colpo implicato che tutto ciò che era stato detto prima aveva un valore minore vista la giovane età e la supposta minore esperienza della collaboratrice. Un'accusa contenuta tutta in ciò che non è stato detto esplicitamente.
Parliamo per iceberg
Il punto è che parliamo (e scriviamo) per iceberg: le parole che usiamo sono la punta visibile, ma il senso che le nostre parole hanno, i loro effetti sulle relazioni, sono sommersi, sono appunto nel silenzio. Una parte che bisogna saper cogliere, capire e gestire per non lasciarsene irretire.
Il punto è che parliamo (e scriviamo) per iceberg: le parole che usiamo sono la punta visibile, ma il senso che le nostre parole hanno, i loro effetti sulle relazioni, sono sommersi, sono appunto nel silenzio. Una parte che bisogna saper cogliere, capire e gestire per non lasciarsene irretire.
Se pensiamo, poi, che molti dei nostri scambi avvengono nel digitale con messaggi scritti e stringati (spesso frettolosi), il peso dei "non detti" aumenta: da qui l'aggravarsi della possibilità di fraintendere le reali intenzioni degli altri quando ci dicono qualcosa.
Dire senza dire e ascoltare
Saper "leggere e scrivere" bene questa parte silenziosa è un impegno fondamentale per la salute delle nostre interazioni. Come farlo? Propongo tre virtù da coltivare:
Saper "leggere e scrivere" bene questa parte silenziosa è un impegno fondamentale per la salute delle nostre interazioni. Come farlo? Propongo tre virtù da coltivare:
1. Coltivare il silenzio
2. Saper ascoltare gli impliciti
3. Sforzarsi di esplicitare
Coltivare il silenzio
Alda Merini diceva: "mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire". Siamo abituati a vedere la comunicazione come affermazione, espressione, contenuto, così spesso ci perdiamo che è il contrario: sono i buchi che lasciamo tra le parole a dire di più. Quei buchi vanno osservati, coltivati, curati. Oltre alla domanda "che effetto farà ciò che dico?" – fondamentale in ogni atto di comunicazione – dovremmo abituarci a chiederci: "cosa susciterà ciò che non sto dicendo?". A pensarci bene la cura del silenzio serve a "fare spazio" all'interpretazione dell'altro nella propria formulazione di frasi, gesti, messaggi.
Saper ascoltare gli impliciti
Dato che è proprio nei "non detti" che si rivelano le intenzioni profonde dell'essere umano, vanno presi sul serio e ascoltati con attenzione. Se qualcuno dice "sei sempre il solito", oltre alla reazione istintiva di difesa, un atteggiamento attivo di ascolto dovrebbe portare a comprendere il fastidio e la frustrazione che sta manifestando.
Dimmi cosa "non dici" e ti dirò chi sei. È il luogo dove si colgono le intenzioni e i veri significati che sta proponendo l’altro. Così come nei nostri silenzi traspare ciò che intendiamo e vogliamo veramente. È lì che spesso si gioca la vera posta in gioco di una discussione accesa.
Sforzarsi di esplicitare "in uscita"
Che ci piaccia o no, per discutere occorre esplicitare: mettere "sul tavolo" le questioni, esternarle affinché possano essere trattate dagli interlocutori coinvolti. E questo vale in uscita e in entrata. Quando si ha qualcosa "contro" qualcuno, occorre prendersi l'impegno di argomentare per fornire all'altro gli elementi necessari per poter rispondere nel merito.
Da "sei sempre il solito" a "sei sempre il solito perché usi l'ironia ogni volta che vuoi sviare da una questione..." è già un passo avanti. Si sta cercando di dare consistenza a quella frustrazione per poterla affrontare assieme. Così come un "mi fai dubitare della tua intelligenza perché mi ripeti sempre le stesse domande" ha una formulazione che perlomeno si sta sforzando esplicitare una ragione o un motivo del giudizio espresso.
Sforzarsi di esplicitare "in entrata"
Certo si può fare di meglio, ma intanto la spinta all'esplicitazione non può che favorire la possibilità di un dialogo più sano. E questo vale anche "in entrata": quando si riceve un'accusa implicita, piuttosto che soffermarsi sulla sua carica biasimante, si può scegliere di invitare l'altro a esplicitare. "Cosa intendi per sempre il solito? Fammi capire dove ho sbagliato": è un modo di rispondere che accoglie la frustrazione altrui, invitandolo a metterla sul piatto per affrontarla direttamente.
Con un correttivo però. A volte, proprio per il bene della discussione, più che esplicitare è meglio ritornare alla coltivazione del silenzio della prima virtù. Cioè accogliere la frustrazione presente negli impliciti e farne tesoro, senza voler per forza ribattere. Sono tutti quei casi in cui non vale la pena discutere: quando l'altro non ha la minima intenzione di collaborare (pensiamo a certi commenti provocatori online e offline) o comunque non ha davvero un argomento concreto da esprimere contro di noi. Qui il silenzio diventa capacità di "lasciar cadere".
Il valore del silenzio
Istintivamente siamo portati a lasciarci prendere dal silenzio degli impliciti reagendo senza pensarci e, spesso, è proprio lì che cadiamo. Così come noi stessi siamo portati a formulare delle frasi che mettono nei silenzi parti fondamentali che compromettono la buona pace della discussione. Ripartire dal silenzio, dalla sua cura, dall'ascolto degli impliciti può renderci più consapevoli di come stiamo discutendo.
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