Il silenzio e l'Intelligenza Artificiale

 

E se il silenzio fosse la chiave per capire (e usare meglio) l’Intelligenza Artificiale? Il silenzio ha due volti: quello virtuoso, che abbassa il rumore e crea spazio per capire; e quello vizioso, che nasconde gli impliciti e i pregiudizi che guidano le nostre scelte senza che ce ne accorgiamo. Con l’IA — specie quella generativa — questa ambivalenza diventa pratica quotidiana: negli output, le macchine “fanno tornare i conti” del linguaggio, ma lasciano nell’ombra i passaggi; negli input, siamo noi a dover tirare fuori dal silenzio gli obiettivi, il contesto, il tono e i criteri di ciò che chiediamo. Un buon prompt è, in fondo, un esercizio di "tirar fuori dal silenzio ciò che si vuole ottenere".

E poi c'è il grande tema della revisione umana. Il punto non è idolatrare o demonizzare l’IA, ma discuterci: non solo chiedere-rispondere, bensì entrare nella trama, cercare i buchi, domandare “da dove viene questo?”. Altrimenti scatta la pigrizia cognitiva e ci adagiamo su ciò che ci suona bene, senza vero progresso di conoscenza.

L'IA, in fondo, è come uno specchio: non “sa”, ma ci restituisce il nostro modo di conoscere, cioè la nostra tendenza alle scorciatoie cognitive e la nostra fame di conferma. Il silenzio — quello virtuoso — è l’intervallo che ci permette di rivedere, di scegliere dopo aver cercato ciò che manca, di prenderci la responsabilità di ciò che facciamo con il supporto della macchina.

Con Giovanni Tridente abbiamo fatto un po' di ragionamenti su questa dialettica tra tacere e generare senso nel "Lessico dell'Intelligenza Artificiale", guarda il video completo qui sotto.