(Tratto dall'intervento: "Ciò che vale: moneta e senso dello scambio", Festival della Moneta, Rotondella, 3 maggio 2025)
C’è una frase amara che racchiude un sentimento diffuso: “Tanto è inutile discutere, soprattutto su certi argomenti, specialmente con certe persone”. È una resa, il segnale che siamo arrivati al punto di rottura nella nostra capacità di convivere attraverso le discussioni.
Quando si perde la fiducia nella possibilità di uno scambio significativo, non è solo il dibattito a morire: finisce la socialità stessa. Questa sfiducia nel dialogo è uno dei semi della crisi delle democrazie che oggi percepiamo attorno a noi. Non si tratta solo di politica: è una crisi di relazioni, di tessuto sociale, di reti umane.
La comunicazione aggressiva paga?
Molti giustamente dicono: “Chi comunica in modo aggressivo sembra avere successo”. È vero: l’aggressività paga. Ma la domanda è: in che moneta?
La comunicazione polarizzante paga in una valuta effimera: l’attenzione. Chi alza la voce, cattura lo sguardo, ottiene like, forse anche il voto o l’acquisto di un prodotto. Ma non costruisce fiducia. Non costruisce credibilità . Anzi, alla lunga, quelle affermazioni sprezzanti, quelle scorciatoie suadenti, quelle continue riduzioni di problemi complessi, non riescono a mantenere nella sostanza la forza che promettono nella forma.
Oltre l’emaptia: l’exotopia
Se vogliamo ricostruire relazioni durature, dobbiamo reimparare a fare uno sforzo fondamentale: rendere le nostre idee accettabili per l’altro. Questo è il cuore dell’argomentazione: non imporre un punto di vista, ma proporlo in modo che l’altro possa ascoltarlo, comprenderlo, valutarlo (e anche criticarlo). Per farlo, dobbiamo conoscere l’altro, metterci nei suoi panni, capire il suo modo di vedere e sentire il mondo. Ma non solo.
Si parla molto di empatia. E l’empatia è fondamentale, ma non basta. Accanto a essa, serve un’altra virtù, spesso sconosciuta: l’exotopia. È la capacità di accettare l’altro nella sua irriducibile diversità , senza volerlo riportare ai nostri orizzonti di riferimento. È la base di un vero ascolto: non solo “sentire” l’altro, ma fargli spazio.
Un’etica tanto antica quanto innovativa
A questo punto, potremmo pensare che tutto questo sia un bel sogno, un ideale platonico. E invece è il contrario: è qualcosa di profondamente concreto. Specialmente oggi, in un tempo in cui la comunicazione aggressiva è spettacolarizzata e monetizzata.
Non ci servono tanto nuove competenze, ma una nuova (o antica) etica. L’etica delle virtù, come ci insegna Aristotele. Fare le cose bene, per il gusto di farle bene. Trovando soddisfazione proprio nel condurre quella attività umana in modo eccellente in sé. Per questo diversi autori propongono le virtù dell’argomentazione come sprone a condurre al meglio possibile l’azione umana di discutere.
Come il barista che fa con cura il suo caffè e coltiva le relazioni con i clienti, non solo perché ci guadagna, o perché gli conviene, ma soprattutto perché prova gusto di farlo in sé. È un’etica che ci responsabilizza: non possiamo più dire “è colpa degli altri”, “è il contesto che non lo permette”. Nell’etica delle virtù il valore è cercato di per sé. Anche se accartocciati, stropicciati dalle situazioni difficili, possiamo continuare a coltivarlo. Come una banconota da 50 euro, che anche se spiegazzata, mantiene tutto il suo valore.
Partire dall’orecchio dell’altro
Mentre nel dibattito mediatico e social-mediatico c’è chi può permettersi di alimentare continui scontri monetizzando, nella vita quotidiana delle nostre assemblee condominiali e delle nostre riunioni di lavoro i continui scontri ci sottraggono risorse in termini di fiducia e credibilità . Con conseguenze nefaste sulla nostra convivenza.
Giorgio Gaber diceva: “Si può scegliere se passare alla storia o passare alla cassa”. È vero, è possibile cercare il guadagno immediato drenando consensi velocemente. Ma la domanda è: cosa rimane in termini di fiducia e credibilità ? Argomentare bene significa partire dall’orecchio dell’altro, non da quello che c’è nella nostra voce. Concentrarsi su ciò che resiste dopo la discussione. Perché, alla fine, ciò che resta può cambiare la storia.
Come scriveva Italo Calvino: “Non è la voce a condurre il racconto, sono le orecchie”.
Social Plugin