"Fin qui", "perché", "meraviglia": tre criteri per migliorare le discussioni online

Qualche giorno fa era l'anniversario della nascita del primo iPhone. Quindici anni di schermo "col tocco" eppure abbiamo ancora poco tatto nell'usarlo. Presi, infatti, dalla connessione costante e dalla diversità aumentata, di solito siamo più propensi allo scontro che al confronto. Il risultato: finire col dare la colpa a questo mirabolante alleato invece di concentrarci sul vero protagonista dei problemi di comunicazione, cioè noi stessi.

È tempo più di propositi che di bilanci. Ne propongo tre, immediatamente applicabili alle nostre conversazioni digitali per renderle più sostenibili e meno funeste:

- non dire "fine", ma usare "fin qui";

- usare di più i "perché";

- riscoprire la "meraviglia".

Vediamoli uno alla volta.

1. Fin qui

Uno dei principali problemi delle nostre discussioni è che ci lanciamo in esse con l'intento di avere l'ultima parola, di esaurire gli argomenti, di chiudere le questioni. Questa ansia di voler mettere la parola "fine" è spesso quella che ci porta a fare affermazioni nette, spesso con posizioni più radicali di quanto non lo siano veramente nelle nostre opinioni.

Allora, come insegna il mio maestro Adelino Cattani, occorre rinunciare alla parola "fine" e rivolgersi piuttosto al "fin qui". Cioè discutere accettando fin dall'inizio che, per quanto l'abbiamo detta bene, ci sarà sempre qualcos'altro da aggiungere. Essere disposti cioè a discutere in modo provvisorio e aperti alla revisione. "Scrivere online in forma di bozza permanente", dice Eduardo Arriagada, con l'idea che si esporrà quanto si pensa "fin qui" e poi si vedrà dove si arriverà successivamente, senza patemi d'animo.

Il "fin qui" è anche un ottimo criterio per smettere di discutere e non andare all'infinito nei botta e risposta. È accettare che un confronto può arrivare fino a un certo punto, poi si potrà eventualmente riprendere in seguito. Non deve sempre essere tutto definitivamente concluso a ogni scambio. A volte si può anche interrompere una disputa in un pacifico stallo di disaccordo. 

2. I perché

Le discussioni online sono piene di giudizi formulati in modo apodittico, cioè privi delle ragioni che li supportino, come se fossero auto-evidenti. Quante volte scriviamo cose del tipo: "quello che dici non mi convince", "le cose non stanno affatto così", "sarebbe meglio se optassimo per quest'altra opzione". Tutte affermazioni che suscitano reazioni stizzite per un motivo molto semplice: mancano i perché.

Senza i perché le affermazioni assumono la forma di un attacco personale che fa sentire giudicati negativamente. Se ci sforzassimo di esplicitare sempre i perché che animano le nostre convinzioni, le discussioni diventerebbero migliori. Offrire sempre i motivi, le ragioni e le cause che spingono a sostenere un'opinione dà all'altro il segnale che vogliamo veramente discutere di qualcosa.

Provare per credere: la prossima volta che vuoi sollevare un dissenso prova a esprimerlo spiegando bene perché lo sollevi. Ti accorgerai che spesso non hai delle ragioni così solide, e quindi mitigherai i tuoi interventi; oppure scoprirai di avere delle argomentazioni convincenti e, a quel punto, ti concentrerai su quelle e non avrai bisogno di aggredire.

Il criterio dei perché funziona anche in senso passivo. Quando riceviamo giudizi sprezzanti del tipo "le cose non stanno affatto così", invece di lanciarci a dare risposte che difendano le nostre tesi, faremo il contrario: chiederemo semplicemente "perché?". La maggior parte delle volte questa domanda è la più efficace delle risposte. Lascia all'altro l'onere di esplicitare il merito della critica senza fermarsi alla provocazione del giudizio negativo. Se escono ragioni e prove, si potrà proseguire a discutere. Se non ce ne saranno, allora si tornerà al "fin qui" che certifica quanto non convienga proseguire.

3. La meraviglia

"Già so dove vuoi andare a parare...", quante volte è quello che abbiamo in mente mentre discutiamo con qualcuno. È il problema dell'anticipazione del pensiero altrui, una forma di difesa mentale che adottiamo per prevenire attacchi e critiche. Crediamo di poter presumere quello che vuole dirci l'altro per essere pronti a ribattere.

Il problema è che così facendo ci perdiamo il meglio delle discussioni. Perché se possiamo sapere sempre come iniziano i diverbi, non possiamo mai davvero sapere dove porteranno. Allora qui va rispolverato il concetto aristotelico della "meraviglia": la capacità di stupirsi per ciò che non conosciamo e che ci spinge a volerne sapere di più.

Chi segue la meraviglia è pronto a leggere i commenti altrui con la curiosità di conoscere nuovi modi di pensare e di percepire la realtà. È aperto a prendere le parole dell'altro e a coglierne la novità e la diversità, trovando in esse l'occasione per rinnovare il proprio pensiero alla luce di quelle. La meraviglia è quella che mette in testa un "chissà dove vuole andare a parare?", generando interesse per i risvolti imprevisti a cui porterà quel confronto: fa venire voglia di ascoltare, di porre domande e articolare meglio il proprio pensiero. 

La meraviglia spinge quindi ad usare proprio quei "perché" che sono l'anima di ogni discussione. Se poi l'altro non ne vorrà sapere tornerà il "fin qui" ad aiutarci. Perché la salute del nostro modo di confrontarci online e offline va misurata anche in base alla capacità di smettere di discutere quando non serve.