Accettare quando l’altro ha ragione


di Bruno Mastroianni, tratto da AgendaDigitale.eu

In una discussione di solito ci si fa prendere dalla smania di dire la propria, passando sopra a tutto ciò che dice l’altro. In modo tattico, anche quando l’altro ha affermato qualcosa di accettabile, si va oltre affrettandosi ad aggiungere le proprie convinzioni.

Fermarsi, invece, per dichiarare pubblicamente che le affermazioni dell’interlocutore sono condivisibili, può essere una mossa vantaggiosa. Compiendola, infatti, si possono raggiungere due risultati importanti.

Il primo dal punto di vista del contenuto: riconoscere laddove l’altro ha ragione rinforza la qualità dello scambio e permette di aggiungere, chiosare e ampliare il discorso con le proprie tesi. Il secondo dal punto di vista della relazione: è un segnale costruttivo non solo per l’interlocutore che, seppure ingaggiato in una dinamica di dissenso si sente ascoltato, ma soprattutto per l’uditorio che, vedendo un contendente riconoscere le ragioni dell’altro, ne può notare la dedizione al tema e la disponibilità a discutere.

Insomma accettare le ragioni altrui è la prova che si sta discutendo con lo scopo di contribuire davvero, per capire qualcosa in più, e non solo per posizionare se stessi e difendere la propria identità.
Se ha ragione in parte, adotta quello che dice adattandolo a ciò che vuoi dirgli

Accettare in parte

La maggior parte delle volte accadrà però che l’altro ha ragione solo in parte. In questi casi, come spiega Adelino Cattani, l’accettazione delle ragioni altrui può procedere adottando ciò che dice per poi adattarlo a ciò che si vuole sostenere: ad esempio accettando le premesse, oppure convergendo sui criteri, ma divergendo poi sulle conclusioni, sulle applicazioni o mostrando che i fatti esposti non sono del tutto generalizzabili.

Questa modalità rende di solito il dissenso ancora più efficace di quanto non lo faccia un attacco diretto alle affermazioni altrui, perché parte dal riconoscere il valore di ciò che l’altro ha affermato per poi procedere a far notare che in esso manca qualcosa, o che si può fare qualche passo in direzioni non contemplate dalle sue parole.

L’adottare adattando poi ha una funzione fondamentale: è un ottimo modo per riportare al centro della discussione il tema invece di perdersi nella polemica sui modi e sulle espressioni aggressive.

Facciamo un esempio:

Affermazione: Internet ci ha reso tutti più stupidi!

Risposta A: Non è vero! Non è la connessione, siamo noi che la usiamo male!

Risposta B: Certo si nota un impoverimento intellettuale, ma credo che c’entri soprattutto con l’uso che ne facciamo.

Nella replica A si è scelta la via della nettezza troncante: si usano due dissociazioni sintetiche (“non è vero”, “non è così”), si usa l’indicativo, si lascia all’altro la sensazione che si sta su due posizioni opposte e inconciliabili. È molto difficile che si prosegua in una discussione proficua.

La replica B, invece, nel partire dal riconoscere gli effetti della connessione, si dedica poi a dissentire sulle cause. In questo ottiene un risultato fondamentale: tutto il peso del dissenso non è lasciato ai “non” e ai “non è così”, ma alla seconda parte in cui si ventila che la ragione dell’impoverimento derivi da una questione di uso virtuoso o meno, cioè una questione aperta e discutibile.

È quindi un doppio invito: dal punto di vista della relazione a continuare a discuterne, dal punto di vista del contenuto introduce il tema dell’uso della connessione portando a segno l’obiettivo di sostenere le proprie ragioni.

Una mossa apparentemente “morbida” che in realtà si rivela molto più forte del rifiuto troncante. Ora sta all’altro cogliere la sfida di discutere sul problema dell’uso delle tecnologie di connessione. Se non la raccoglierà, rimanendo sulle sue, chi ascolta si accorgerà della scarsa motivazione a proseguire nel ragionamento. Ancora una volta un modo efficace per svelare dove c’è discussione o solo scontro. Se fosse quest’ultimo caso, allora è meglio fermarsi e lasciar cadere.

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