Ad hominem: buttarla sul personale per evitare di argomentare


di Bruno Mastroianni, La disputa felice, 24.1.2019

Quando discutiamo con qualcuno che conosciamo – o presumiamo di conoscere – può venire spontaneo servirsi di sue caratteristiche per “usarle” come elemento di contrasto alle sue idee. Espressioni come: “tu dici così perché sei... (alto/basso, ricco/povero, giovane/ anziano)”, oppure “è il tuo carattere”, “è una tua tendenza”, “è un tuo modo tipico”, ecc.; rientrano in questo anche le allusioni alla situazione sociale, professionale, affettiva, famigliare dell’altro. 

Queste manovre hanno l’effetto di attribuire alla persona ciò che dovrebbe essere tenuto al livello delle argomentazioni e delle idee. In alcuni casi rivolgersi alle “caratteristiche” dell’altro – come insegna il maestro Adelino Cattani – è pertinente: pensiamo a chi si pone come esempio su un tema che però contraddice con la vita, o a un politico che parla di onestà quando è corrotto. Ma in questi casi le caratteristiche personali c’entrano con il tema stesso. La maggior parte delle volte invece usiamo l’ad hominem per un altro scopo: quello di contrastare l’altro quando non abbiamo un vero argomento da opporgli. Il segnale? L’elemento ad hominem che viene introdotto non dà una vera risposta alle questioni sollevate, il sottotesto (spesso nemmeno tanto tra le righe) è: tu non sei all’altezza, non sei degno, non sei in grado di sostenere questa tesi, ma il contrasto alla tesi non c’è.

È una forma di deindividuazione dell’altro: la selezione di un suo tratto caratteristico (e l’omissione di altri), cerca di creare artificialmente un’asimmetria tra i disputanti, distogliendo l’attenzione dalla validità degli argomenti per spostarla sull’accettabilità dell’interlocutore.

È una tattica di distrazione dal merito del discorso che in fin dei conti serve ad aggirare il confronto. È fatta per creare un bivio artificiale che riduca la complessità a una contrapposizione binaria (degno/indegno, all’altezza/non all’altezza) in cui dividere chi può parlare e chi no, prescindendo da ciò che dice. Tutte manovre che cercano di chiudere la questione prima ancora di affrontarla.

Di solito la usiamo proprio quando le argomentazioni dell’altro hanno colpito nel segno un nostro punto debole. Spesso infatti andiamo sul personale “contro” qualcuno quando siamo proprio noi ad avere una fragilità sul tema. Lo facciamo perché razionalizzare o argomentare ci costringerebbe a guardare in faccia i nostri limiti. E questo ci costa. Anche se poi è la strada per trovare la felicità nel confronto.