Il diritto di non odiare nell’epoca dei social


(Da un’intervista a Vera Gheno e Bruno Mastroianni di Piergiorgio Cattani su la Domenica del Trentino, 9.12.2018)

La situazione odierna che sembra irrecuperabile. La rabbia e l'odio dilagano sul web. Ma è proprio così? Esiste una via d’uscita? Da qui partiamo con un’intervista a Gheno e Mastroianni. Da dove nascono le possibilità di una interazione civile anche sul web? 

 Non si stava meglio quando si vedeva meno. La rete ha solo dato la possibilità a tutti, senza selezione all’ingresso, di poter intervenire nel dibattito pubblico per iscritto. Eravamo abituati a un dibattito molto filtrato, per questo proviamo disagio di fronte all'espressione libera e magari scomposta di ogni pensiero. Lo chiamiamo odio e rabbia, generalizzando, ma in realtà in quei flussi ci sono le paure, le preoccupazioni, le emozioni reali delle persone. Andrebbero presi sul serio e ascoltati attentamente. Per quanto in forme scomposte, sono istanze che richiedono risposte.

Comunicazione fa rima con educazione. Esistono le "buone maniere" sui social? Esistono sicuramente le buone maniere, ma soprattutto esiste la possibilità di comportarsi in maniera civile, che tiene conto dei limiti della propria libertà e della presenza degli altri attorno a noi. 

Chiamarle buone maniere le fa sembrare la fissazione un po' démodé di signore imbellettate che prendono vezzosamente il tè. Cosa c’è di più profondo? In realtà, qui si parla della necessità di imparare a gestirsi non solo nella vita "reale", fisica, ma anche nella vita virtuale, smettendo di considerarle due vite separate, quanto piuttosto due "stati" diversi del nostro essere da vivere in continuità. Secondo noi, la persona che alla fine sta meglio è quella che sia offline sia online riesce a comportarsi in maniera ragionata, senza dare sfogo ai propri istinti più bassi, a quell'animale che tutti, volenti o nolenti ,"ci portiamo dentro", tanto per citare Franco Battiato. Quindi noi non parliamo di mera forma (come talvolta, a dire il vero a torto, può sembrare il Galateo), ma di un contegno morale e del comportamento che è conseguenza di una salda sostanza.

La rabbia on line è lo specchio di quella reale, che si respira nel Paese. L'una alimenta l'altra, ma quale viene prima? 

 Intanto metterei in discussione il concetto di rabbia. A emergere è anzitutto la differenza e il dissenso: l’interconnessione in cui siamo immersi ci ha resi tutti più vicini e ci fa costantemente incontrare/scontrare con la diversità emotiva, culturale, valoriale, linguistica degli altri. Ciò può provocare frustrazione perché ci mette alla prova di fronte a interlocutori che non sono automaticamente disposti a riconoscere competenze e gradi di autorevolezza. La definiamo genericamente come “rabbia”, ma in realtà è soprattutto frutto di un dissenso che è mal espresso da un lato, e non accolto dall'altro. Chi ricopre un ruolo o ha una competenza (politica, culturale, scientifica, sociale) dovrebbe prendersene cura. Invece spesso rinuncia e il campo è lasciato libero ai manipolatori che sono capacissimi di sfruttare quella frustrazione a loro vantaggio.

Contro questi manipolatori come ci si può difendere? Si moltiplicano gli esperti ma forse serve qualcos’altro… Voi avete un approccio diverso, oserei dire "umanistico" perché basato sulla parola... 

Poiché la comunicazione è un campo fortemente interdisciplinare, esistono senz'altro molti esperti e molte ricette per avere (più) successo in rete. Anche al nostro approccio mancano sicuramente punti di vista; semplicemente, l'incontro tra una sociolinguista e un filosofo ha permesso a entrambi di allargare la prospettiva che per forza di cose, semplicemente per il fatto di essere studiosi di una certa disciplina, tende a focalizzarsi su quella. Il nostro approccio parte, dalla caratteristica più umana che abbiamo: una competenza che ci differenzia da tutti gli altri animali che vivono sulla terra, che è quella della parola. Secondo noi, in un sistema nel quale comunichiamo soprattutto per iscritto, una riflessione metacognitiva sulla parola permette di ridarle potere, e al contempo di renderci più "potenti" nelle nostre interazioni.

Chi ha il controllo delle proprie parole ha un vantaggio tattico rispetto a chi, in qualche modo, le usa con poca consapevolezza. Da questo voi partite nel libro “Tienilo acceso”… 

Certamente, lo facciamo per costruire una sorta di competenza digitale vòlta a creare cittadini più resistenti alle sollecitazioni di pancia, che noi individuiamo come uno dei problemi centrali che si vedono bene in rete in questo momento storico. La soluzione, insomma, alla comunicazione deragliata, non è continuare a lamentarsi, o chiedere a gran voce regole, divieti e punizioni esemplari - che pure, in alcuni casi, servono - ma prendere in mano la propria vita online e fare un lavoro prima di tutto su di sé. In questo modo, si può contribuire alla creazione di veri e propri circoli virtuosi, alcuni piccoli, altri più grandi, che realmente possono contribuire a cambiare la forma stessa della rete.