Essere è comunicare, e altre considerazioni sul web (che non è un mezzo di comunicazione)

di Bruno Mastroianni, 24 aprile 2017

Non so perché ma ogni volta che sento considerazioni (nefaste) sull'effetto dei social sulla gente mi si storce un po' la bocca. La realtà è che la situazione è in evoluzione e non è possibile prevedere con certezza come lo scenario digitale cambierà l’uomo e la società. Soprattutto: ciò che accadrà dipenderà da noi, non da un fantomatico destino cieco.

Piuttosto mi concentrerei su due certezze:
1. È cambiato e sta cambiando radicalmente il rapporto dell'uomo con il sapere e le modalità degli esseri umani di entrare in relazione tra loro.
2. Le competenze di base di comunicazione (per capire il mondo, farsi capire e per capire l'altro) sono richieste a tutti e non solo agli addetti ai lavori: sono come il "saper leggere e scrivere" di 50 anni fa.

Il problema è che in molti discorsi nefasti invece di cogliere la sfida 1 si resiste e si invoca un ritorno a un rapporto più gerarchizzato col sapere (cosa irrealizzabile visto che il web è già vita quotidiana di tutti: chi vorrebbe tornare indietro a chiedere il permesso a qualche autorità su cosa leggere e dove?). Dall'altra parte si sottovaluta la 2 e si fa poco: quante occasioni educative e culturali abbiamo per crescere nelle capacità di comunicazione nel loro senso più alto?

Essere e comunicare

Essere e comunicare, infatti, non sono due momenti distinti. Noi siamo ciò che diciamo, esprimiamo, trasmettiamo agli altri con le parole e con i nostri comportamenti. La comunicazione non è un'azione strumentale per trasmettere un messaggio, è relazione con l'altro che ci fa capire meglio noi stessi. Non si può non comunicare così come non si può non essere.

Oggi, ora, siamo in un mondo iperconnesso che con la dimensione online ha aperto possibilità di relazione prima neanche pensabili, è il momento di coltivare queste possibilità per renderle pienamente umane. Inutile fermarsi a dire "colpa della tecnologia". L'uomo è prima, dentro e dopo. La sfida ha aspetti tecnici ma è anzitutto umana e culturale.

I social e il web non sono venuti da un altro pianeta, non sono stati imposti da un invasore né sono spuntati dal nulla. Siamo noi esseri umani che abbiamo deciso liberamente, volontariamente e progressivamente di ampliare la possibilità di entrare in contatto con la diversità e diminuire le distanze. La tecnologia ci ha permesso di accelerare il processo e di universalizzarlo: mettendo letteralmente questa possibilità nelle mani di ciascuno.

L'interdipendenza 

È stata una mossa geniale. Una volta fatto però molti hanno reagito rifiutando il confronto con la diversità e aggravando la propria ignoranza chiudendosi in gruppi e tribù impermeabili. Possiamo prenderla male e cercare di correre ai ripari dicendo "abbiamo scherzato" (cosa tra l'altro inutile e irrealizzabile). Oppure possiamo vedere la realtà: abbiamo ancora molta strada da fare per essere pienamente all'altezza dell'interdipendenza radicale che ci siamo procurati.

È davvero così sorprendente scoprirci esseri costantemente bisognosi di evoluzione culturale e umana? A me sembra che se la storia dell'uomo avesse una trama, sarebbe sostanzialmente questa.

I social e il web sono ormai vita quotidiana delle persone. Non sono in concorrenza con i media perché non sono media in senso stretto. I media stessi vivono la loro dimensione online nel web. L'online è una dimensione relazionale che abbiamo aggiunto alle altre nostre possibilità umane. Una dimensione che è in continuità con tutte le altre offline e a esse inscindibilmente intrecciata: virtuale è reale.

Il ben vivere online

Sul web si possono costruire legami o romperli, arricchire le proprie conoscenze o chiudersi in bolle autoreferenziali. Tutto reale, concreto e pienamente riguardante la condizione umana.

Il punto quindi non è come usare il web (come se fosse uno strumento) né come influisce web su di noi (come se fosse un medium vecchia maniera); non è nemmeno come stare nel web (la metafora della piazza che non descrive esattamente la sua natura). La domanda pertinente è: come viviamo questa ulteriore dimensione relazionale che ci siamo procurati?