L'odio verso Asia ci insegna qualcosa sulla nostra "fallibilità aumentata"

Il caso dei commenti d'odio verso Asia, la coraggiosa bambina malata di tumore, va visto dal punto di vista del potere. Il problema centrale, infatti, riguarda il potere che le tecnologie di connessione hanno messo nelle mani di ogni essere umano amplificando gli effetti dei suoi atti di comunicazione.

In questa vicenda ci sono stati usi diversi del potere. Il primo da parte di chi ha espresso sarcasmo, odio e aggressività. Persone che hanno deciso di usare le loro parole, potenziate dai social, per distruggere qualcosa di bello e buono. Perché lo hanno fatto? Per tentare di esercitare un potere di dominanza su qualcosa che forse li avrebbe costretti a riflettere su sé stessi, sul dolore, sulla condizione umana fragile in cui tutti siamo coinvolti.

L'odio, infatti, emerge spesso come forma di distanziamento da qualcosa che spinge al cambiamento. La testimonianza di Asia non può lasciare nessuno indifferente. A fronte delle tante interazioni ammirate, che hanno colto l'opportunità che Asia offriva, sono emerse quelle scellerate che hanno tentato di rifiutarla e di deteriorare il suo messaggio tramite parole scomposte. 

Gli altri poteri in gioco

Per fortuna a questo potere si sono contrapposti altri poteri. Il primo, di tipo sociale, da parte della madre: è stata lei a voler denunciare il cyberbullismo dei commenti negativi con il preciso scopo di far sentire meno solo chi di solito ne è oggetto, non solo in casi così mediatamente esposti. In questo modo la madre ha ingenerato, tramite l'uso di questo potere di comunicazione, un'ondata di sensibilizzazione. Se ora si vanno a visitare i post dell'ospedale Santobono Pausilipon di Napoli si trovano pieni di commenti solidarietà per la bambina.

A questo potere "sociale" della madre è corrisposto poi un intervento del potere istituzionale: Sergio Mattarella ha fatto sentire la sua voce da Capo dello Stato con un commento diretto dall'account ufficiale del Qurinale. Ciò ha attivato il potere mediatico: la vicenda è stata raccontata dai principali media e portata agli occhi dell'opinione pubblica, attivando diversi spazi di riflessione sul tema.

Ora questa vicenda ci mostra alcune cose fondamentali per interpretare i tempi che viviamo. 

L'antidoto all'odio

La prima è che l'odio c'è e dobbiamo sempre più imparare a guardarlo in faccia senza paura. È successo con Asia, è successo con Gino Cecchettin, è successo con tante altre vittime, e purtroppo succederà ancora. Osservarlo è penoso, ma ci spiega bene chi è l'essere umano e cosa gli succede quando è potenziato dal digitale in tutte le sue parti, comprese quelle più oscure. 

La seconda è che questo stesso potere digitale può essere usato per il contrario dell'odio, che non è solo la sua censura o il suo divieto, ma soprattuto l'unione di forze sociali per occuparsi di esso. La parola "insieme" è il vero antidoto alla tossicità dell'odio. Il caso di Asia è stato portato all'attenzione pubblica, ma pensiamo a quanti fenomeni di aggressività e odio si presentano nei nostri luoghi digitali ravvicinati meno esposti: lasciar correre e non fare la propria parte è frutto di un cattivo uso del potere di intervenire che ciascuno ha.

Infine, di questo "insieme" devono far parte anche il potere mediatico e quello istituzionale che con il loro intervento sono in grado di farci sentire uniti davanti al problema e intenti a trovare sempre migliori soluzioni.

La fallibilità aumentata

Da tutto questo ne deriva che abbiamo potere ma non lo sappiamo gestire. Siamo stati dotati di una capacità di incidere con le parole infinitamente più grande di quanto potevamo aspettarci. Con questo potere tra le dita ci si stanno presentando sempre più chiari i nostri scompensi e le nostre difficoltà. Tutt'altro che semi-dei, capaci con la tecnologia di imporci sulla realtà, sbattiamo continuamente di fronte alla nostra condizione umana fragile e imperfetta.

La vicenda di Asia, come le altre prima di lei, ci ricordano che più potere acquisiamo con la tecnologia e più emergeranno le nostre debolezze. È la "fallibilità aumentata" che condiziona il nostro agire tecnologico. A essa dovremmo sempre più guardare ogni volta che ci troviamo a gestire i poteri di cui ci stiamo dotando.