Non cadiamo nella rete



di Vera Gheno e Bruno Mastroianni, Robinson di Repubblica, 16.9.2018


Come fare a vivere felici e connessi? Iniziando dall’usare meglio le parole. Questa è la sintesi della proposta contenuta in Tienilo acceso: l’idea che servano conoscenze tecniche, che occorrano regole, ma che l’aspetto che può davvero cambiare le carte in tavola sia da ricercare in qualcosa che è alla portata di tutti, non solo degli addetti ai lavori: riflettere di più su come comunichiamo. Siamo gli unici animali a possedere il dono della parola, che è quindi il nucleo della nostra umanità; eppure, poiché la competenza verbale viene normalmente acquisita senza troppa difficoltà sin da piccoli, spesso la diamo per scontata: l’importante, dicono molti, è il contenuto, non la forma che gli diamo.

Questo atteggiamento si nota chiaramente sui social, dove tutti sembrano comunicare come viene (salvo poi creare, e crearsi, enormi complicazioni). Noi invece pensiamo che proprio in rete, dato che siamo privati della nostra corporeità, della possibilità di vederci in faccia, di toccarci, di annusarci (siamo pur sempre animali!), le parole sono ancora più importanti, perché attraverso di esse passa tutto ciò che siamo e che vogliamo comunicare (di noi e del nostro pensiero) agli altri.

Potremmo dunque iniziare prendendoci un secondo per chiederci se l’universo abbia davvero bisogno di ciò che stiamo per "rilasciare" in rete, davanti a un pubblico di dimensioni incontrollabili: nessuno ci sta puntando un’arma alla testa mentre digitiamo la nostra battuta, la nostra invettiva, il nostro parere. Versione per i più utilitaristi: che effetto avrebbero quel commento, quella foto, se pubblicati sulla prima pagina di un giornale? È molto più facile concedersi il lusso di una riflessione prima che non cimentarsi nella gestione della crisi poi.

Nella vita in generale, ma più specificamente in rete, la lingua assolve a tre funzioni: quella di esprimere chi siamo, quella di comunicare la nostra visione del mondo, quella di metterci in relazione con gli altri. E tutto questo accade che noi lo vogliamo o meno. Come fare, quindi, a renderlo un processo cosciente, in modo da essere noi a usare gli strumenti linguistici a nostra disposizione e non essere usati da essi?

Per rispondere a questa domanda occorre perdere due illusioni. La prima è l’illusione delle parole stesse. Comunicare non è conoscere bene le regole dell’italiano, anche se sono la base, e nemmeno essere letterati colti e forbiti. Anche l’essere umano che conosce più parole al mondo può fallire miseramente nel momento in cui deve entrare in relazione con le parole di un altro. La competenza, allora, non sta tanto nel saper costruire frasi senza errori, quanto piuttosto nel mantenere la relazione con l’altro proprio quando gli errori e i fraintendimenti compaiono (cosa che accade sempre).

Qui la seconda illusione da perdere: non esiste la comunicazione che mette tutti d’accordo, non è possibile piacere a tutti. La connessione ha accorciato le distanze e messo in contatto in modo ordinario e costante le differenze che prima incontravamo solo in certe occasioni. Oggi, grazie al web, ai social, a WhatsApp, siamo diventati tutti più vicini; le divergenze (di vedute, di linguaggio, di sensibilità) si incontrano e si scontrano di continuo, tanto che l’esperienza che facciamo più comunemente online è quella del dissenso e del litigio (spesso anche scomposto). Saper comunicare oggi non è solo sapersi esprimere in modo efficace (che sia con un breve testo, una foto o un video), ma deve andare oltre: è saper affrontare le conseguenze in termini di discussioni e reazioni che ogni contenuto inevitabilmente genera una volta immesso in questo scenario.

La rete può aumentare le nostre possibilità di incontro con la differenza ed essere un’occasione per stimolare, discutere, scoprire, conoscere. Oppure, può diventare il sistema ideale per chiudersi in un piccolo mondo di affini, in cui mettere alla porta tutti quelli che non sono graditi, additandoli di volta in volta come nemici, hater, imbecilli, populisti, buonisti a seconda della fazione in cui ci si trova comodi. La scelta è letteralmente nelle nostre mani, in quello smartphone attraverso il quale inviamo parole scelte con minore o maggiore cura.