Che cosa è la diversità aumentata che ci fa litigare tutti sui social network


Intervista di Paolo Casicci per Cieloterradesign.com

“La diversità è diventata un aspetto ordinario della realtà” spiega Mastroianni. “Accade in una chat su WhatsApp di genitori della scuola, dove ci appaiono tutte le divergenze, per iscritto, continuamente e senza limiti di tempo e di spazio. Così come la realtà aumentata arricchisce attraverso il digitale le nostre percezioni del reale mediante informazioni e dati, l’essere iperconnessi nella onlife porta a un incontro/scontro amplificato con le differenze degli altri, che vengono percepite molto più vicine di quanto non sarebbero nella convivenza fisica”.

Come hai iniziato a occuparti di litigi e di dispute felici, e perché ne hai fatto un argomento di lavoro?

Il primo motivo è personale: fin da giovanissimo ho sempre avuto la passione per la discussione, ma mi sono ritrovato spesso in preda a emozioni negative e a difficoltà di espressione che rendevano difficile il farmi capire dagli altri. Insomma, sono sempre stato un tipo litigioso. La voglia di migliorare il modo di “dire la mia” mi ha spinto a interessarmi del tema. Il secondo ha a che fare con i miei studi filosofici: il gusto di mettere alla prova le idee e di cercare il più possibile il confronto con gli altri ha fatto sorgere in me l’interesse per come queste dinamiche possano favorire o compromettere la riflessione. Infine la passione per la tecnologia: quando i confronti diventano digitali e connessi, le cose si complicano ulteriormente. Con i social il tema è esploso diventando il centro delle mie attenzioni.

L’infodemia fomenta il litigio o litigheremmo benissimo anche senza l’eccesso di informazioni che genera confusione, tipico dei nostri tempi?

Diciamo che il litigio se la cava bene anche senza infodemia. Il mal discutere è “naturale”, fa parte della condizione umana: nessuno nasce predisposto al confronto sano, è una qualità che va coltivata e fatta crescere con la formazione e l’esercizio. L’infodemia aumenta gli stimoli negativi e le pressioni cognitive che compromettono il confronto. Insomma il litigio non è un prodotto dell’infodemia: se pure fossimo in un mondo perfetto, senza disinformazione, litigheremmo lo stesso.

Quanto è difficile stare zitti mentre tutto congiura per farci parlare di qualsiasi cosa?

È difficile perché la congiura parte da dentro ancora prima che da fuori: tendiamo a pensare che l’espressione della nostra opinione in pubblico sia un atto necessario a farci esistere e considerare dagli altri. In questo ci illudiamo che più diciamo e più ci faremo notare. In realtà va a finire che perdiamo mordente: le persone riconoscibili sono quelle che parlano poco e bene, quando serve davvero. Nelle discussioni chi è capace di dire “questo non lo so”, “ho bisogno di pensarci”, “non è il mio campo”, perde magari un turno, ma guadagna in credibilità (che è la via maestra per farsi ascoltare davvero).

Quanto, sui social network, il litigio è frutto dei famosi algoritmi che spingono alla polarizzazione, e quanto invece è responsabilità nostra?

È un cappuccino. Mi spiego: la bevanda non è fatta semplicemente di latte più caffè, ma di uno specifico mix dei due ingredienti, ciascuno che contribuisce in precise dosi e modalità a rendere la bevanda unica. La tendenza umana al mal discutere e gli algoritmi che spingono alla conferma delle proprie idee e alla coesione con gli affini sono come il latte e il caffè del cappuccino. Si uniscono così bene da dare forza l’uno all’effetto dell’altro. Il che vuol dire che per correggere la tendenza vanno migliorati sia il “latte umano” che il “caffè tecnologico”, ma soprattutto il loro miscuglio.

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