Senza pulpito viene meglio la predica


di Bruno Mastroianni, 3 novembre 2017

Quando ci si trova in una disputa sui social o in pubblico, tutte le fonti autorevoli classiche (il diritto, la letteratura scientifica in generale, le tradizioni, i libri sacri e religiosi) non sono spendibili perché la loro autorevolezza presuppone un accordo previo da parte dell’interlocutore. Per alcuni sono completamente discutibili, per altri possono essere persino motivo di opposizione pregiudiziale per il solo fatto di essere nominate.

Lo sforzo che occorre fare è allora quello di usare sempre argomenti razionali e di uso quotidiano per presentare le proprie posizioni. Non si tratta di congedare la cultura, la scienza o altre discipline assodate, ma di accettare di ricominciare da capo per convincere chi parte da punti di vista di rifiuto.

Occorre accettare in ogni momento di farsi carico dell’onere della prova davanti agli altri e non rifiutare mai nessuna delle obiezioni anche quando si parla di cose assodate: ogni rilievo espresso in termini razionali è degno di risposta, ogni affermazione ha bisogno di essere comprovata da fatti, dati e ragionamenti. Quando ci si confronta pubblicamente, nessuno può sentirsi in una posizione di rendita dovuta al suo ruolo, alla sua popolarità o alla sua condizione sociale. La presenza di opposizione è il motore del discorso: deve far articolare più a fondo il ragionamento.

Esempio:

A: I vaccini provocano autismo, sono le multinazionali farmaceutiche a volere che li usiamo.

B: La comunità scientifica è concorde sulla necessità dei vaccini.

A: Certo che lo è: le ricerche degli scienziati sono spesso finanziate dalle aziende.

B: Sono un medico e le assicuro che i vaccini sono indispensabili.

A: Sarà anche un medico ma il dott. Wakefield ha fatto sapere al mondo che i vaccini provocano l’autismo.

B: L’argomento è troppo complesso per affrontarlo qui. È una questione scientifica che non si può spiegare in due battute.

Le argomentazioni di B sono inefficaci perché presuppongono riconoscimenti di autorità che sono proprio alla base delle teorie di A. Richiamare la “comunità scientifica”, il “sono un medico”, “la complessità dell’argomento”, “la scienza non si spiega in due battute”, rende l’intera conversazione inefficace.

A d’altro canto, nonostante le teorie discutibili, usa tutti riferimenti comprensibili e presenti nell’immaginario comune: “multinazionali con interessi opachi”, “aziende che finanziano ricerca”. Per quanto le tesi siano infondate sono presentate con un linguaggio che aderisce alla realtà e sta sul campo, senza riferimenti a autorità “altre” che debbano essere chiamata in causa. Persino il riferimento al dott. Wakefield (il medico radiato dall’albo per le sue ricerche inattendibili) dà l’idea che si sta argomentando con sostegno di fatti, persone concrete e prove.

L’esito dello scambio è che A dà l’idea di cimentarsi nel fornire prove (anche se sta sostenendo cose infondate) mentre B rinuncia ad argomentare in nome di cose che dovrebbero essere già note/riconosciute/assodate. È a causa di questo atteggiamento di rinuncia che spesso conversazioni sui social danno più credito a chi ha meno ragione.

 Il criterio del senso comune presuppone insomma che si sia sempre disponibili a riaprire le questioni ogni volta che sia necessario. Se ci sono nuovi elementi, vanno considerati nel rivedere il ragionamento. Se c’è bisogno di ripetere perché qualcuno è arrivato dopo o non ha seguito tutto il percorso, va fatto. Se un’incomprensione ha viziato la procedura, è necessario fare qualche passo indietro per ritornare ad affrontarla.

Il criterio del senso comune si riallaccia poi anche alla presenza della “maggioranza silenziosa”: se si è sui social o in un luogo aperto, se si è in una conferenza e si parla a più persone, così come quando si è intervistati dai media, occorre tenere presente quelli che ascoltano anche se non direttamente coinvolti. È uno sforzo simile a quello che fa chiunque scrive un testo: deve potersi immaginare chi leggerà e le sue reazioni per potersi esprimere al meglio. Questa moltitudine che immette inevitabilmente un elemento di pluralità in ogni confronto ha bisogno di essere intercettata: lo sforzo per idee e argomenti semplici, che non danno nulla per scontato e comprensibili alle persone comuni, va in direzione di farsi capire dai molti che ascoltano e leggono in silenzio.

Infine occorre ripetere, ribadire, argomentare da capo, come fosse sempre la prima volta. Tutte dinamiche che sono ormai vita quotidiana sul web e sui social, giacché non tutti si prendono la briga di leggere i commenti di una discussione o lo storico di post precedenti prima di intervenire su un punto. Nel dibattito libero online, lo sforzo di ripetizione e riapertura ogni volta che sia necessario, rappresenta un servizio alla comprensione dell’altro e crea le condizioni per essere sempre ascoltati.

Tratto da La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico, (Cesati 2017), pp. 108-111