Se errare è umano, nel digitale può diventare diabolico

di Bruno Mastroianni, tratto da ExAgere 3-4 marzo-aprile 2024

L’epoca digitale – che si sia famosi o meno – ha modificato il nostro rapporto con l’errore. E lo ha fatto in un modo sistematico e profondo. Tanto che si potrebbe rivedere il classico adagio “errare humanum est, perseverare autem diabolicum” constatando che quando l’errore si digitalizza, ed entra nell’ecosistema interconnesso, diventa diabolico anche senza la proverbiale perseveranza. Basta la prima caduta a far scatenare reazioni di stigma intense e spietate. 

[...] Le tecnologie hanno potenziato l’uomo in molte sue capacità. Quelle di comunicazione lo hanno reso capace di raggiungere in modo immediato e veloce chiunque con le proprie parole e i propri contenuti. Questo potenziamento, però, è stato attribuito a un essere tutt’altro che perfetto, soprattutto quando si parla di comunicazione. Ad aumentare, infatti, sono le possibilità e, con esse, le fragilità, le inadeguatezze, diremmo gli errori. 

Sbagliando si impara? Oggi più che mai

Il buon sano vecchio “sbagliando si impara” come principio guida del vivere è oggi molto più importante che non nel passato, quando la società era fatta di interazioni umane limitate nel tempo e nello spazio, non registrate, sfuggenti a screenshot e a inoltri. Quando i contesti erano unici e impermeabili sapevi a chi stavi parlano, dove e come, e potevi avere la sicurezza che ciò che dicevi rimanesse in quell’ambiente. In un mondo in cui tutto ciò che facciamo diventa file/documento (Ferraris, 2021) inoltrabile, riproducibile, immortalabile e diffondibile, è molto più difficile pensare di riuscire a sbagliare senza che molti se ne accorgano e reagiscano di conseguenza. 

Ma è anche difficile pensare di non sbagliare: il legame tra il contenuto, i destinatari e il mezzo usato diventa labile e mai definitivo (Grimaldi, 2019). Ciò che viene pubblicato qui e ora in una certa chat può in ogni momento fare un salto di contesto ed essere riprodotto altrove. Connessi come siamo, non riusciremo mai a comunicare senza alcuna caduta, stortura, fraintendimento. E se quelle cadute si diffondono oltre le nostre previsioni e sono esposte a molti più interlocutori di quanto pensiamo, ciò vuol dire che ciò che ci attende è una vita connessa impegnata costantemente nell’arduo compito di recuperare e riparare gli errori che inevitabilmente affioreranno (Balbi, Ortoleva, 2023). 

Una rinnovata cultura dell'errore

[...] Nell’epoca digitale avremmo bisogno di una cultura dell’errore e dell’accoglienza delle fragilità, ancora più consapevole. L’errore dovrebbe essere il materiale principale su cui lavorare, da accettare come l’eventualità più frequente proprio perché siamo messi in una condizione di continua esposizione a esso. 

Quell’asterisco che talvolta usiamo per correggere un messaggio inviato con una parola sbagliata, potrebbe diventare il simbolo di questa cultura. Esso rappresenterebbe la forza motrice capace di farci vedere l’errore per quello che è: il protagonista principale della vita connessa che ci troviamo a vivere. 

Eduardo Arriagada (2016) sostiene che in rete occorrerebbe saper scrivere sempre in modalità di bozza. Pronti cioè a concepire ciò che diciamo come provvisorio e sempre passibile di correzione e adattamento. Questa affermazione si unisce a certi studi che teorizzano come la capacità di discutere sia stata sviluppata dagli esseri umani proprio per ottimizzare l’effetto benefico dell’errore (MacRaney, 2023). Se ho diversi attorno a me con cui posso fare ipotesi sulla realtà che mi circonda, posso permettermi di sbagliare ed essere impreciso affidandomi alle correzioni, ai punti di vista differenti e agli emendamenti degli altri. 

Paura di sbagliare, paura di doversi confrontare

[...] La nostra paura dell’errore potenziata dalle tecnologie dovrebbe farci riflettere su una paura più profonda: quella di doversi costantemente confrontare. La connessione ci ha resto tutti più vicini e toccati ognuno dagli atti di comunicazione dell’altro. L’unica via d’uscita è accettare questa nuova postura umana-digitale e iniziare ad accettare una continua messa alla prova sociale di tutto ciò che digitano le nostre dita. 

La comunicazione vive delle sue imperfezioni (Balbi, Ortoleva, 2023): accanto alle possibilità vi sono sempre i suoi limiti. Gli errori e le mancanze sono sì un problema e un elemento costitutivo, ma ne sono anche la forza. La strada è allora quella di accettare un procedere fatto di costanti aggiustamenti e adattamenti in cui si divenga sempre più consapevoli di questa sua profonda natura. 

 È così che i grandi influencer devono accettare di essere sottoposti a un continuo vaglio delle loro azioni e affermazioni. È così che le aziende e le organizzazioni devono essere costantemente pronte a gestire le crisi e le controversie che sicuramente nasceranno in base ai loro comportamenti (Chieffi, 2024). È così che ciascuno di noi, come utente, deve essere pronto a sbagliare, a interagire con gli altri a proposito dei suoi errori, e uscirne magari un po’ umiliato, ma sicuramente più forte e consapevole dei suoi limiti. 

L'epoca degli umili

[...] Più l’uomo aumenta il suo potere, più quella potenza gli mette di fronte, senza pietà, la sua condizione di essere costitutivamente imperfetto e manchevole. Ben venga allora l’errore, perché è proprio ciò che ci ricorda che siamo umani, tutt’altro che divini. Per essere all’altezza dell’evoluzione che ci siamo guadagnati non dobbiamo infilare successi uno dietro l’altro, forti e sicuri di un percorso privo di sbavature. Dobbiamo al contrario stare felicemente negli errori, raccogliendoli uno a uno, come pepite preziose che ci aiuteranno in mezzo a tante potenzialità disattese a fare meglio la volta successiva. 

Inutile cercare di vivere una vita connessa perfetta e ineccepibile. Peggio ancora farsi prendere dalla paura e smettere di intervenire e agire per non rischiare (come molti fanno in una sorta di ritiro dai social e dalla connessione demoralizzato e pessimista). 

Come insegna il filosofo Adelino Cattani (2022), dobbiamo imparare a usare un umile e approssimato “fin qui” ogni volta che ci accingiamo a comunicare in mezzo agli altri, pronti a discuterne. Come farlo bene? Magari a cominciare dal correggere con più gentilezza e pace gli errori che sicuramente faremo tutti, in abbondanza. 

In passato abbiamo avuto “l’epoca dei lumi” in cui la ragione è stata portata in primo piano come principio che avrebbe fatto progredire l’umanità, sostituendo i presupposti irrazionali inadeguati delle epoche precedenti. Sarebbe bello se riuscissimo a fare di quest’epoca “un’epoca degli umili”, quella cioè di coloro che proprio di fronte agli errori, invece di provare orrore, sono pronti ad adattare costantemente la propria forma umana imperfetta potenziata dalla tecnologia.

(Il testo completo e per i riferimenti bibliografici QUI)