Virale, di moda, popolare: tendenze molto umane, da coltivare

di Bruno Mastroianni


A volte quando parliamo di dinamiche dei social tendiamo ad assumere un atteggiamento spontaneamente negativo e moralistico. Accade ad esempio con parole come "virale", oppure "popolarità". Ci viene automatico pensare che queste cose siano non del tutto pulite e che abbiano qualcosa che non va.

Si tratta di quel "maniavantismo" educativo, di cui abbiamo già parlato, a cui ormai siamo abituati quando consideriamo la comunicazione digitale. È quell'educazione all'uso delle tecnologie intesa come sottrazione e prevenzione, in un costante istinto difensivo intento a mettere paletti e limiti per impedire che certe dinamiche prendano il controllo su di noi.

Da qui nascono quei discorsi secondo cui virale - cioè il fenomeno per cui un contenuto riceve l'attenzione progressiva ed esponenziale di molte persone in Rete - è qualcosa di "non pulito", di poco nobile, contraddistinto spesso da interessi commerciali o comunque non del tutto limpidi. Così come il tema dei like e delle condivisioni che rendono popolare un certo contenuto: questa popolarità ci appare spesso sotto una luce negativa, come se il desiderio di avere riscontro fosse solo qualcosa di sbagliato, di disdicevole. Questi termini - assieme a "di moda", "fa tendenza" - vengono affiancati a sensazioni di superficialità, mancanza di spessore, emotività, scarso studio e poca riflessione. Ma è proprio così?

Ritengo che per una corretta comprensione del Web e dei social ci sia bisogno di un capovolgimento di prospettiva. Virale non è male. Popolare non è disdicevole. Moda e tendenze non sono affatto cose da evitare. Sono invece il grande terreno su cui lavorare per un Web sempre più rispondente alle nostre esigenze di esseri umani.

Il capovolgimento non va fatto per tecno-entusiasmo. Chi dice che tutto è bello e buono quando si parla di tecnologia, infatti, compie dal lato opposto lo stesso errore del "maniavantismo". Entrambi rimangono sulla superficie dello scenario digitale - difendendosi o gettandosi a capofitto - senza averne un'adeguata comprensione.

Quello che occorre è, come al solito, non separare mai i due elementi essenziali, che sono inscindibilmente uniti nell'attuale panorama della comunicazione: l'uomo e la tecnologia. Percepire il Web solo da un punto di vista tecnologico, senza l'umano, è travisarne l'essenza; così come percepire l'uomo senza la tecnologia è fraintendere la sua attuale e reale condizione relazionale e comunicativa.

Insomma in questi fenomeni va ritrovato il senso dell'uomo-tecnologico e della tecnologia-umana. Così "virale" sarà percepito per ciò che veramente è: ciò che interpella l'umano e che lo spinge a reagire e interagire. Che questo possa essere fatto con dei trucchi, puntando sulla pancia e sugli istinti più bassi (che sempre umani sono), non toglie che si possa fare interpellando le facoltà migliori e più nobili, alzando il livello. Lo stesso può dirsi della popolarità: quando cerchiamo i like non stiamo solo rispondendo a un malsano bisogno di approvazione, stiamo piuttosto cercando con grande umanità un feedback, un segnale da parte di chi ci ascolta, per sapere se ciò che offriamo è rilevante. La moda e le tendenze poi fanno parte dei quella indole tutta umana a condividere gusti e opinioni per conoscersi e riconoscersi. Una cosa viva, vera, reale, su cui si può e si deve lavorare.

Solo dopo aver assunto tale prospettiva si potrà con consapevolezza affrontare le dinamiche digitali in modo evoluto, ad esempio accettando la fatica di ottenere popolarità e riscontri puntando in alto e non al ribasso; cercando la viralità in ciò che migliora e non in ciò che disgusta; creare tendenza risvegliando e creando riconoscimento e coesione nella parte migliore della nostra natura umana.

Ho in mente molte persone che fanno questo quotidianamente sui social, sono come contadini che seminano e coltivano, nutrendo costantemente chi gli sta attorno. È un piacere essere connessi con loro nel Web.

C'è così tanto da fare in questo versante luminoso e costruttivo che non c'è quasi il tempo di mettersi a stigmatizzare il lato oscuro delle ombre. Non è buonismo ma realismo consapevole. Le tecnologie sono come una lente di ingrandimento che potenzia le nostre caratteristiche umane - quelle promettenti come quelle distruttive - a quali ci dedicheremo come priorità per educare ed educarci ad esser connessi in Rete?